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Ottobre 2021

Amore e Psyche

Amore e Psyche BLAST

L’avvicinamento alla conoscenza dell’uomo richiede un approccio in grado di coniugare il rigore della ricerca scientifica alla libertà delle scienze umane, mantenendo la dose di umiltà necessaria per non escludere quelle parti di mistero ed ineffabile che lo accompagnano da sempre. Lino Graziano Grandi aderisce a un tale approccio: pur conservando come riferimento privilegiato la teoria adleriana, si muove attraverso quello che si potrebbe definire un pluralismo epistemologico, rimanendo però saldamente legato a un pragmatismo conoscitivo derivato dall’ambito professionale e di vita che gli consente di pervenire a una creatività di pensiero e azione – posta al servizio psicoterapeutico, analitico, didattico e di supervisione. Attraverso il presente lavoro, se ne vuole rappresentare almeno una parte come apporto al miglioramento dell’esercizio della prassi psicoterapeutica. Un antico adagio recita: chi meno conosce, ha meno bisogno di conoscenza. Si rifugia pertanto nella tecnica; meglio, nel tecnicismo.

Casa editrice: Effatà
Autore: Lino G. Grandi

Se questo è un altro

Se questo è un altro BLAST

Il confronto con l’Altro permette a ciascuno di noi di sentire il vero «se stesso». Ogni essere umano è una mescolanza di insiemi, instabile quando cambia l’insieme di cui fa parte. Originalità e adattamento, convinzioni e confronto, assimilazione e scambio caratterizzano ognuno di noi. Alla luce della sua lunga esperienza nel campo della psicoanalisi e della psicoterapia, in queste pagine Lino G. Grandi «dialoga» con il protagonista del pirandelliano Uno, nessuno, centomila, considerato come una sorta di prototipo di ogni essere umano che accetta di confrontarsi dialetticamente con l’Altro: un confronto che consente di uscire finalmente da se stessi e di accogliere la complessità della vita rinunciando alle proprie convinzioni egocentriche. Fra domande e tentativi di ricerca intorno ai grandi temi dell’esistenza, ne emerge una gamma di riflessioni sulla miseria e sulla nobiltà dell’uomo, declinate anche sul versante del potere, delle relazioni interpersonali e della ricerca di senso. Introduzione di Alberto Sinigaglia.

Casa editrice: Effatà
Autore: Lino G. Grandi

All’Istituto di Psicologia Individuale “Alfred Adler”, l’allievo è al centro del progetto per poter aiutare gli altri

All’Istituto di Psicologia Individuale “Alfred Adler”, l’allievo è al centro del progetto per poter aiutare gli altri BLAST

Una storia che è iniziata nel 1976, ma che in oltre 40 anni ha saputo adeguarsi ai tempi che cambiano

Nel 1976 nasce il Centro Studi di Psicologia Applicata “G.P. Grandi”, come confronto tecnico operativo e momento formativo tra psicologi e medici di respiro europeo. Per accogliere le richieste di consulenza e formazione delle aziende con una modalità più strutturata, viene promosso l’Istituto di Psicologia del Lavoro che da subito inizia a collaborare con Enti ed Aziende pubbliche e private. Si struttura la Scuola di Formazione in Clinica Psicologica, che forma psicoterapeuti, promuove incontri scientifici e culturali, organizza Convegni e Seminari. Nel 1993 assume la denominazione di Scuola Adleriana di Psicoterapia che viene riconosciuta ed equiparata alle Scuole di Specializzazione Universitarie dal MURST, con D.M. del 29/09/1994. Come sintesi dell’attività ormai decennale del Centro Studi di Psicologia Applicata, nasce l’Istituto di Psicologia Individuale “Alfred Adler”. Da anni è anche sede di tirocinio per i neolaureati del corso di laurea in Psicologia.

Dal 2005 un gruppo di psicoterapeuti dell’età evolutiva si riunisce per studiare interventi integrati sia di tipo clinico che socio-ambientale, sui minori e sulle loro famiglie, per far fronte alla costante crescita del disagio psicologico che prende il nome di Sestante. Dal 2014 l’Alfred Adler Institute si specializza ed organizza corsi relativi all’apprendimento di tecniche terapeutiche nelle problematiche delle dipendenze e con 2Search Organizza corsi specifici di Public Speaking per professionisti aziendali e non attraverso tecniche anche teatrali. Infine, nel 2016 nasce l’Associazione Diapason Onlus che si propone di operare specificamente nel campo della terza età, nell’Handicap, in campo educativo e di sostegno ai genitori.

Abbiamo incontrato la dottoressa Stefania Caudana, docente e formatore della Scuola Adleriana di Psicoterapia, referente per i Tirocini Universitari che ripercorre la storia dell’Istituto: “L’Istituto di Psicologia Individuale Alfred Adler nasce da un gruppo di professionisti appassionati, cultori e studiosi della scienza dell’uomo che si incontrava il mercoledì sera, sotto la guida del Prof. Grandi, e che,  nell’ottica di rendere fruibile la psicologia ad un pubblico più ampio, organizzava incontri, conferenze, eventi sul territorio”.

“Dal 1976 ad oggi le cose sono molto cambiate. Per chi volesse immergersi nella weltanschauung  dell’Istituto, è stato pubblicato di recente il libro del professor Grandi L. G. dal titolo “Amore e Psyche”, che raccoglie gli ultimi 20 anni di scritti apparsi sulla rivista ufficiale “Il Sagittario” rivisitati ed organizzati secondo le principali tematiche esistenziali, tipiche dell’incontro che avviene nella stanza di psicoterapia. Un libro consigliato non solo agli “addetti ai lavori” ma anche a chi ama la cultura e la scienza dell’uomo.

Oggi l’Istituto rappresenta un sistema organizzato, che ha all’interno tutta una serie di sotto sistemi, che riguardano l’ambito della Psicologia degli Adulti, della ricerca, della Psicologia Evolutiva, della Psicologia e Religiosa, della Psicologia Giuridica, della Psicologia delle Organizzazioni e naturalmente, come cuore del sistema, la Scuola di specializzazione in Psicoterapia che si occupa della  formazione di coloro che diventeranno i futuri clinici.


A chi si rivolge l’istituto?

“L’istituto accoglie i tirocinanti pre e post lauream. Come li accoglie? Rendendoli da subito attori nelle attività e nei vari progetti in ambito psicologico, mettendoli in grado di progettare con noi gli interventi e di operare con altri gruppi di studio. I tirocinanti vengono costantemente seguiti in un’opera di rivisitazione delle attività alla luce della teoria da un lato, e delle loro caratteristiche personali dall’altro. Questo è il primo step formativo. Dopo questo si passa alla formazione che rappresenta l’eccellenza dell’Istituto: la Scuola di Psicoterapia, condotta dalla dottoressa Di Summa e dal suo gruppo di Docenti e Formatori, una scuola di specializzazione che prevede quattro anni di formazione in cui l’attenzione è rivolta, in un’ottica di integrazione, alla centralità della persona, quindi alla formazione dell’Allievo. È una scuola nella quale si approfondisce e si mette in dialogo la teoria Individual Psicologica con le tecniche cognitivo comportamentali, con i capisaldi del sistema junghiano, con le più recenti scoperte delle neuroscienze e molto altro, proprio per consentire un’integrazione del sapere ed un puntuale collegamento dello stesso con la prassi clinica. Per completare il percorso formativo, dopo i quattro anni della Scuola, è possibile inserirsi  nei  gruppi di formazione permanente, gestiti dal del Prof. Grandi, in cui settimanalmente ci si incontra con l’obiettivo di una rilettura di quello che avviene nella stanza di terapia e nei vari progetti, per rielaborare il tutto di nuovo con un’attenzione centrata su di noi, perchè se non si parte da noi non si può lavorare sugli altri.


Accanto a tutti questi momenti e percorsi formativi ci sono dei master che sono attivati dall’lstituto: in particolare segnalo, a partire da settembre, l’attivazione di un master dedicato al trattamento delle persone affette da disturbi d’ansia, fobie, attacchi di panico e d.o.c.

“C’è un master che si è da poco svolto e che ripartirà presto in una seconda edizione, ed è dedicato al trattamento delle dipendenze, in specifico ai disturbi da cocaina ed alcool. E’ presente un master di specializzazione in psicoterapia dell’infanzia ed in autunno ripartirà il master in neuropsicologia. E poi…c’è una sorpresa e tanti eventi in partenza, per cui vi consiglio di seguirci sul sito e di scoprirli con noi…”

I giovani e il tempo Dal buio della noia alla luce del dono Psicoterapeuta Francesca Di Summa

I giovani e il tempo Dal buio della noia alla luce del dono Psicoterapeuta Francesca Di Summa BLAST

di Francesca Di Summa

La psicoterapeuta Francesca Di Summa, presidente dell’Istituto Adler, interviene ad un corso di formazione degli insegnanti di religione della diocesi di Torino (“I giovani e il tempo. Dal buio della noia alla luce del dono”), direttore del corso Clara Di Mezza per conto del Centro Cattolico di Bioetica. La relatrice è presentata da don Mario Rossino, insegnante presso la Facoltà teologica, che sintetizza i contenuti in alcune parole chiave “nichilismo, senso di vuoto, noia” «frutto di una vita che non è stata benedetta dalle emozioni che possono generare relazioni interpersonali e dare senso alla vita». L’immagine di Galimberti dell’”ospite inquietante” che condiziona la nostra vita è ricondotta al nichilismo. Non lo si può più mettere alla porta, «già da tempo in modo invisibile si aggira per la casa» (Heidegger).

Il nichilismo richiama il concetto di vuoto che a sua volta si collega al vissuto dell’angoscia. La dott. Di Summa nota come in casa si crei una situazione di indifferenza dove «ognuno pensa ai fatti propri». Si sviluppa l’individualismo mentre «ciò che porta benessere è essenzialmente l’attenzione all’altro. Il senso della vita sta nell’accorgersi dei bisogni dell’altro e nel cooperare». Il sentimento sociale funge per Adler da barometro, «se dovessi misurare l’equilibrio psicologico di un individuo»; è presente in potenza in ciascuno di noi anche se non è detto che si sviluppi. A questo punto introduce il tema degli “stili di attaccamento”, «lo sviluppo della nostra mente è strettamente collegato alla relazione con la figura materna».

La dott.ssa Di Summa ha notato una mamma che allattava. «Se sto parlando al cellulare, è difficile che lo sguardo sia posato sul bambino, che lo accarezzi, che mantenga un contatto corporeo, che il corpo sia in una situazione di morbidezza tale da trasmettere calore». «Le emozioni della mamma trasmettono un “regolatore emotivo” che difficilmente viene trasmesso con altre modalità». Definisce la tenerezza materna e paterna come «precursore dello sviluppo del sentimento sociale». Un monito per gli insegnanti, «la comunicazione è relazione, se nella relazione non inserisco un contenuto emotivo, quello che diciamo non ha nessun significato». Il vuoto è mancanza di emozioni, «se quando parlo con qualcuno non provo a mettermi nei panni dell’altro, a farmi carico delle emozioni dell’altro». «Oggi si parla di adolescenti digitalmente modificati, il digitale cambia lo sviluppo del cervello», attiva l’emisfero sinistro. L’emisfero destro «preposto allo sviluppo del simbolico, la narrazione, la capacità critica» si atrofizza.

«Oggi non c’è più la legge del padre: il senso del dovere, il rispetto, conquistarsi le cose, non il “tutto e subito”. Le relazioni in famiglia tra genitori e figli sono orizzontali, non verticali». «Quando si entra in relazione con gli adolescenti è importante provare a non imporre i nostri schemi di riferimento, tenere conto della realtà che sta vivendo quel ragazzo, chiedersi cosa c’è dietro quel comportamento così assurdo». Se alla provocazione si risponde con l’aggressività si entra in collisione e si fa lo stesso errore, «lui non mi rispetta, mi considera alla pari e io mi metto allo stesso livello».

Fonte: di Piergiacomo Oderda Voce Pinerolese

Nella foto Francesca Di Summa con don Mario Rossino 

Change hold habitus: the modification of the lifestyle

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di Emanuela Grandi & Alessia Anna Cantarella

(Communications 25° Congress of the International Association of Individual Psychology: Separation, Trauma, Developments – Vienna 2011)

Con questa breve relazione vogliamo porre alla vostra attenzione alcune riflessioni sull’importanza che la psicoterapia riveste nell’aiutare il cliente a cogliere quali aspetti del suo carattere e delle sue modalità non siano funzionali per la sua vita ed il suo lavoro nonchè a lavorare sugli stessi in maniera critica, in modo da indurlo ad abbandonare schemi di pensiero e di comportamento arcaici, ad abbandonare quindi le proprie finzioni.

Sappiamo che i comportamenti disfunzionali si strutturano in “stile” (stile di vita) che a sua volta si traduce in abitudini, automatismi, ripetizioni sempre più radicate fino a divenire inconsce.    Lo stile di vita, definibile come l’insieme di idee, pensieri, giudizi, atteggiamenti, comportamenti e azioni che caratterizzano il modo di essere di ogni singolo individuo, può assumere in sé, contemporaneamente, aspetti statici e aspetti dinamici. Si forma in un lungo arco temporale e si cristallizza parzialmente in abitudini e comportamenti automatici; d’altra parte, però, esso è perennemente in evoluzione e cambiamento.

“Ciascuno di noi è la sua storia” (L. G. Grandi): dunque che lo stile di vita è collegato ad aspetti genetici, biologici e costituzionali nonchè alle esperienze vissute, al clima affettivo, all’educazione ricevuta, al contesto sociale in cui si nasce e si cresce.

Mosak individua due aspetti costitutivi dello stile di vita parlando di “modus operandi” che si traduce in azioni e comportamenti visibili e reali; e “modus vivendi” che può risultare più sommerso e più nascosto, talvolta sconosciuto all’individuo stesso, che significa immagine di sé, del mondo e filosofia di vita.  Tutto ciò si collega all’area dei vissuti, della lettura che il soggetto mette in opera rispetto agli eventi e alla realtà. Da questo tipo di lettura che dipendono le risposte comportamentali e la sottostante interpretazione del reale che non risultano rigide e immutabili nel singolo soggetto, bensì possono cambiare al confluire di più variabili come il contesto ambientale, quello sociale e lo stato emotivo-affettivo del momento.

Detto questo, risulta comprensibile il fatto che nella psicoterapia analitica ampio spazio venga dedicato al rilevamento e alla rielaborazione dello stile di vita. In una prospettiva “processuale” del lavoro clinico l’analisi-ricostruzione dello stile di vita e l’analisi degli atteggiamenti rappresentano due fasi cruciali e imprescindibili di qualsiasi trattamento.

Per portare il paziente a “destrutturare” e “ricostruire” il proprio stile, in direzione di un maggiore equilibrio, rendendolo più propenso a scelte sane e non patologiche, il terapeuta deve indagare i nuclei più significativi della sua storia fino ad arrivare ad una scomposizione del suo stile di vita: la costellazione familiare, che identifica i profili psicologici delle figure significative e le loro modalità di agire ed interagire; l’ambiente dell’infanzia, i primi ricordi, cartina di tornasole per identificare le linee teologiche dello stile di vita; le fantasie diurne che danno indicazioni sulle mete coscientemente o inconsciamente perseguite; i sogni notturni; il funzionamento nei compiti vitali che offre dati importanti per comprendere come il paziente si sta muovendo nel mondo; il grado di sviluppo del sentimento sociale che permette di capire quanto il soggetto sia concentrato su di sé e quanto riesca a pensare agli altri.

Questo lavoro di indagine e scavo consente al terapeuta di comprendere quali siano le forze in gioco e attraverso quali esperienze e vissuti il soggetto sia passato per strutturarsi con le sue modalità di azione e reazione, quale sia il codice di lettura e di interpretazione che ha sviluppato nel tempo e, quindi, come si sia costruito l’“abito” mentale con il quale affronta la realtà.

L’aspetto difficile del lavoro analitico sta nello scomporre e separare gli elementi oggettivi e di realtà da quelli soggettivi di lettura e di interpretazione della stessa: è su questo registro che l’analista deve, nel tempo, intervenire ed eventualmente “correggere”.

Ri-costruzione e analisi dello stile di vita possono per lunghi periodi del trattamento coincidere e sovrapporsi, ma il possibile effetto di “abreazione” legato alla scoperta ed alla comprensione non coincide affatto con un automatico processo di cambiamento.

Al contrario: quando il paziente scopre e riconosce gli abituali schemi e codici, avendoli analizzati ed elaborati, si trova di fronte ad un bivio cruciale per la terapia: scelgo di rimanere tale e quale già sono, oppure mi confronto con il rischio, sconosciuto, del cambiamento?   È questa una fase ostica del trattamento, quella che provoca maggiori resistenze e spinge i pazienti a trincerarsi dietro a baluardi insormontabili, in quanto è noto che la più grande resistenza umana è la resistenza al cambiamento. Il paziente solitamente ripropone con forza rinnovata i vecchi schemi, le abitudini acquisite, le strategie già proposte e sperimentate: tutto questo, molto spesso, inconsciamente. Ogni azione risulta finalizzata al mantenimento dello status quo: l’angoscia del nuovo, l’insicurezza del non sperimentato, la paura di non riuscire, il timore di non riconoscersi provocano fasi di stallo se non addirittura di arresto o regressione. Il cambiamento può assumere così la connotazione di vero e proprio “trauma” sebbene finalizzato ad un miglioramento della qualità della vita.

Il paziente spesso “sa” (a livello razionale) che i suoi comportamenti (ormai rigidi e cristallizzati  in abitudini e strutturati nello stile di vita, quegli stessi comportamenti che ha rilevato come non efficienti e per cui spesso ha iniziato e affrontato la psicoterapia) non sono funzionali per una sana vita relazionale ed affettiva ma tradurre la teoria in pratica non è semplice. Talvolta, anzi, il paziente ripropone comportamenti patologici e antichi che sembravano superati e lo fa “quasi sapendo” di farsi male: una forza incontrollabile lo spinge a ricadere nei vecchi schemi e a riproporli.

Abbandonare il vecchio “abito”, sebbene non funzionale e fonte di sofferenza, è, dunque, il punto di arrivo di una strada ardua, faticosa ed a tratti traumatica -al perseguimento della quale si oppongono forze inconsce- che rappresenta l’obiettivo finale del progetto terapeutico.

Per esemplificare quanto una terapia può essere utile nella riformulazione dello stile di vita e soprattutto nella modifica del proprio habitus operandi e vivendi portiamo alla vostra attenzione un caso clinico trattato nel corso del 2010.

Emil si presenta in un momento di forte scompenso esistenziale ed emotivo: da tempo soffre di forti attacchi di panico aggravati da pensieri rimuginatori ed ossessivi relativi alla morte ed alla sofferenza.

Emil è un ragazzo di 22 anni e ½ al momento della consultazione (1 anno e ½ fa), di media altezza, longilineo, viso da bambino incorniciato da capelli neri e bellissimi occhi azzurri oscurati da un’espressione di intensa sofferenza.   Non ride, non riesce nemmeno a sorridere (a volte sì ma solo con la bocca) ed appare spaventato soprattutto dalla prospettiva di dover andare avanti così, senza poter modificare nulla.

Nel momento in cui inizia a raccontare la sua vita si percepisce che sotto un’apparente tranquillità (“ho avuto un’infanzia come tanti, niente di particolare, due genitori, due fratelli ma da un altro matrimonio di mia mamma….”) in realtà si celano già delle sofferenze e dei traumi (“mio fratello di mezzo è stato ucciso sotto casa con un colpo di pistola, io ero piccolo ma ricordo quella sera e soprattutto ricordo il periodo successivo e la reazione di mia mamma e di mio fratello maggiore….”,……. “avevo 6 o 7 anni quando andando al circo con mio padre mi sono avvicinato alle gabbie delle scimmie ed una di queste mi ha afferrato il braccio destro maciullandolo con i denti…”) e che lo stile di vita del soggetto si è orientato verso una modalità egodistonica, alla ricerca di soddisfazioni immediate e fugaci ma con possibilità di dare emozioni forti (“fin da ragazzino ho sempre avuto facilità ad entrare in relazione con gli altri ma mi sono affiancato a ragazzi che si sballavano, bevevano e si davano alla pazza gioia la sera per poi risvegliarmi con fortissime emicranie ed un senso di vuoto che non si placava fino a quando non ritornavo con loro in qualche locale o a fumarmi qualcosa da qualche parte per stordirmi totalmente”).

Finisce le superiori e si iscrive all’università ma in realtà, dopo un primo momento in cui frequenta ed inizia a dare gli esami (“sono sempre andato bene a scuola non perché studiassi ma perché mi bastava leggere una pagina per ricordarla perfettamente per cui sono stato facilitato anche nei primi esami all’università”) in seguito inizia a frequentare sempre più assiduamente il gruppetto di amici del paese, atteggiamento questo che lo porta ad avere tutte le ragazze che voleva, esperienze sessuali (numerose e soddisfacenti), ad avere possibilità di fumare canne ed impasticcarsi tutte le sere (ed anche di giorno), ad ubriacarsi di superalcolici ogni volta che usciva ma anche a casa, utilizzando i soldi che il padre mandava come mantenimento per fare tutto ciò che voleva e chiedendo al fratello maggiore i soldi per “vivere” (pagare l’affitto, mangiare, etc…).  La situazione famigliare/affettiva all’atto della sua richiesta d’aiuto è la seguente:

  • i genitori si erano separati anni prima e la madre è tornata in meridione, al paese d’origine: viene descritta come una donna molto affettiva, non tanto scolarizzata né totalmente integrata nel contesto in cui viveva prima (città del nord, con mentalità molto diversa dalla sua: “si era fatta davanti a casa un orticello e mio fratello si vergognava che tutti la vedessero vestita da contadina andare a ravanare nella terra….”). Emil è molto legato alla madre, le vuole molto bene, ma ogni volta che la vede e rimane un po’ di giorni con lei inizia a “patire”, sta male e gli vengono tutti i sintomi di quando va in attacco di panico e quella che lui definisce “paranoia”;
  • il padre vive in un paese vicino a Torino, si è risposato (con una donna straniera con cui stava da anni) ma non è felice: secondo Emil si è sposato perché non riusciva a stare solo e lei lo ha obbligato ma non sono caratterialmente compatibili. Il rapporto con il padre è quasi inesistente: non hanno argomenti in comune, l’uomo non riesce a verbalizzare nulla con il figlio se non è quest’ultimo ad iniziare un argomento, è “strozzato” sui soldi perché la moglie non vuole che spenda soldi per il figlio che è già grande;
  • il fratello maggiore è un uomo di successo, affermato nel suo lavoro, con famiglia e figli. Per Emil è un miraggio, molto distante e molto invidiato, soprattutto perché sembra sempre non aver tempo per lui;
  • la ragazza che frequenta è fragile, bisognosa di attenzioni e tendenzialmente simbiotica con lui. Emil le vuole bene ma se capita di poter frequentare altre ragazze non si pone il problema.

Nell’anno successivo all’inizio del trattamento si sono verificati numerosi cambiamenti sia per quanto riguarda lo stile di vita che in campo sentimentale/affettivo.

La rivisitazione della propria storia, accompagnata ad un lavoro di smantellamento delle difese ed utilizzando anche un lavoro parallelo che Emil stava (e sta) portando avanti con una scuola di teatro per principianti hanno portato ad alcune importanti modifiche.  Vediamole nel dettaglio:

  • abbandono totale del fumo, in tutte le sue forme
  • abbandono totale dell’utilizzo di pasticche varie
  • abbandono totale del consumo di superalcolici e praticamente totale dell’uso di alcolici
  • ripresa degli studi universitari a pieno regime (mancano attualmente 2 esami alla laurea)
  • abbandono delle frequentazioni precedenti che lo portavano a seguire comportamenti non congeniali al benessere fisico e psicologico e creazione di nuove amicizie funzionali ad una crescita globale
  • inizio di una storia affettiva importante con una coetanea di pari livello (ovvero intelligente, non bisognosa di “cure”, non simbiotica, propositiva, etc…)
  • modifica della percezione relativa alla figura materna, intesa sempre come affettivamente importante ma considerata come figura che può cavarsela senza di lui e che va frequentata (per le sue caratteristiche personologiche) per brevi periodi nell’anno
  • riavvicinamento con la figura paterna (per alcuni mesi ha anche vissuto a casa sua) ma benché ora il rapporto sia esistente non è possibile considerarlo di alto valore per le caratteristiche personologiche del padre stesso
  • notevole riavvicinamento con il fratello, con il quale ha instaurato un rapporto “paritario”, affettivo, di condivisione di pensieri, sentimenti e progetti per il futuro (hanno avviato una piccola attività insieme che il fratello ha intestato a nome di Emil perché ora si fida che lui sia in grado di portare avanti qualcosa di importante e sappia prendersi le sue responsabilità)
  • contatto con diversi medici per risolvere (almeno in parte, per quanto possibile) la propria menomazione al braccio destro con un’operazione per dovrebbe permettergli di avere una forma più lineare e meno “visibile”.

Ovviamente i sintomi da attacco di panico ed i pensieri ossessivi sono scomparsi: ogni tanto, soprattutto quando intraprende una nuova “conquista” (nel senso di riuscire a fare qualcosa su cu ha tanto lavorato psicologicamente e fattivamente) riappare qualche sensazione di fastidio e qualche pensiero rimuginatorio ma normalmente viene facilmente bloccato e scacciato definitivamente.

Lo sport è… MENS SANA IN CORPORE SANO

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di Alessia Anna Cantarella

“Mens sana in corpore sano”, antica locuzione latina nata all’interno delle satire di Giovenale per indicare le due uniche aspirazioni che gli uomini avrebbero dovuto avere, un corpo sano ed una mente sana, solo con Aristotele diventa espressione di un’interrelazione tra due entità che non possono essere percepite disgiuntamente. Oggi si parla dell’uomo come di un’unità bio-psico-sociale: il soma (il corpo) e la psiche (la mente) sono in continua interazione reciproca e sono immersi in un contesto socio-relazionale su cui agiscono e da cui ricevono sollecitazioni e stimoli. Dunque, per aver sane le facoltà dell’anima bisogna aver sane anche quelle del corpo.

L’esercizio fisico porta al benessere psichico poiché aumenta il flusso sanguigno e porta ad una maggior ossigenazione del cervello ed in particolare di due aree: l’ippocampo ed il giro cingolato anteriore. L’ippocampo è una parte del nostro cervello prevalentemente adibita al controllo della memoria e dell’apprendimento mentre il giro cingolato anteriore svolge diversi ruoli complessi, come preparare il nostro cervello allo svolgimento di un compito, ed è implicato nella regolazione delle nostre emozioni oltre ad essere un recettore dell’ambiente circostante aiutandoci a cogliere e a reagire adeguatamente e in maniera adattiva ai cambiamenti.

Queste due parti del nostro cervello hanno avuto due funzioni evolutive molto importanti perché ci hanno consentito di evolvere e sopravvivere ai cambiamenti dell’ambiente grazie al ricordo e all’apprendimento. Maggiore è l’ossigenazione al cervello e maggiore è l’attività di queste aree. Dunque rinvigorito dal carico energetico dell’ossigeno il cervello è più attivo sia a livello fisico sia a livello mentale. I neuroni sono più attivi, vengono prodotti nuovi neuroni attraverso il processo di neurogenesi e si migliora la plasticità del cervello con la nascita di nuove sinapsi che rappresentano il sistema comunicativo tra neuroni. Inoltre, l’esercizio fisico rafforza il sistema cardio-vascolare ed aiuta a combattere alcuni disturbi come il diabete, i problemi renali e l’osteoporosi.

Pertanto, l’attività sportiva ci aiuta anche a migliorare le funzioni cognitive, infatti, grazie alla maggiore ossigenazione le nostre funzioni mentali vengono rinforzate ed aumenta la nostra capacità di pensiero e di ragionamento, come anche la capacità di trovare soluzioni alternative ai problemi. Il pensiero diventa quindi più lucido, si potenzia l’attenzione, la memoria, la capacità di apprendimento, la creatività e la capacità di uscire dagli schemi o dalla famosa “zona di confort” per trovare una strada nuova e innovativa, per trovare una soluzione creativa alle difficoltà, diminuendo il rischio di decadimento cognitivo o di malattie neurovegetative.

L’esercizio fisico è anche un toccasana per il nostro umore perché libera endorfine e incrementa il livello di serotonina e noradrenalina che sono due neurotrasmettitori che aumentano il benessere psicofisico e ci consentono di guardare il mondo con un paio di lenti caratterizzate da maggior ottimismo e positività. Possiamo considerare questi due neurotrasmettitori come veri e propri ansiolitici ed antidepressivi, utili proprio per migliorare il nostro stato mentale. Maggior benessere psicofisico porta anche ad effetti positivi nella sessualità e nel controllo del peso corporeo, due altri elementi che vengono influenzati negativamente dallo stress.

Ne beneficia anche la produttività sul lavoro che tenderà ad aumentare man mano che si raggiungerà una buona sinergia tra una mente attiva ed un corpo dinamico. Trovare il tempo per dedicarsi ad un’attività sportiva è fondamentale per combattere lo stress purché sia portata avanti in maniera costante, altrimenti perderebbe di significato ed utilità, e con il supporto di personale qualificato, per evitare movimenti sbagliati e pericolosi per l’integrità corporea o un carico di lavoro inadeguato e, pertanto, poco funzionale. E’ necessario che ogni persona individui lo sport maggiormente adatto alle proprie esigenze, senza farsi influenzare dalle mode del momento. Per esempio, le attività aerobiche e la corsa sono attività che servono a scaricare le tensioni che inceppano pensieri ed idee e aiutano a schiarire la mente, nel caso in cui si debba prendere una decisione importante.

Annichilimento, isolamento e chiusura portati dall’emergenza sanitaria Covid19 hanno agito sul benessere psichico di molte persone producendo stati ansiosi e depressivi anche a causa dell’immobilità a cui si è stati costretti. Coloro che hanno reagito al cambio di stile di vita imposto dalla pandemia, interrompendo l’attività sportiva e chiudendosi nella “confort zone”, sono andati incontro ad un progressivo cambiamento ed irrigidimento ideativo e ad un peggioramento del tono dell’umore. Al contrario, coloro che hanno saputo cogliere le iniziative nate sul web anche da parte di personal trainer e di coach sportivi che, sfruttando piattaforme digitali hanno creato delle realtà dinamiche e fruibili, hanno mantenuto una maggior lucidità nell’affrontare le difficoltà personali, sociali ed economiche legate al periodo pandemico.

Strumenti e dispositivi digitali, spesso demonizzati quando si parla di bambini ed adolescenti, dimenticando che non è lo strumento da demonizzare ma è la gestione e l’uso eccessivo che ne viene fatto, in questo caso hanno consentito la creazione di spazi di confronto ed aiuto psicologico per persone che altrimenti non avrebbero potuto essere raggiunti come anche la costruzione di vere e proprie “palestre on-line” con cui rimanere lontani ma vicini, con cui poter mantenere il proprio equilibrio psicofisico e la propria lucidità: un’opportunità per creare nuovi legami ed amicizie, prendendosi cura di sé e del proprio benessere.

Legami capaci di futuro: dalle basi intersoggettive dello sviluppo della persona all’esperienza dello “stare” in relazione. Attaccamento, fiducia, desiderio e cura nei rapporti interpersonali

Legami capaci di futuro: dalle basi intersoggettive dello sviluppo della persona all’esperienza dello “stare” in relazione. Attaccamento, fiducia, desiderio e cura nei rapporti interpersonali BLAST

1. I legami oggi

La maggior parte dei numerosissimi studi ed approfondimenti sull’assetto e il funzionamento della societa contemporanea tratteggia un quadro allarmante e scoraggiante circa lo sviluppo e il destino delle relazioni interpersonali: prevale la rappresentazione di un mondo popolato da individui narcisisticamente ripiegati su di se ed orientati alla soddisfazione delle proprie voglie, incapaci di desiderare, costruire, mantenere legami e affetti dotati di stabilita, continuita e profondita.

A tal proposito risulta efficace la definizione di Bauman (2002) di “relazioni liquide”, cioe rapporti interpersonali caratterizzati da istantaneita, brevita, transitorieta, superficialita, facile smaltibilita. Relazioni che potremmo meglio definire “contatti”, per utilizzare un termine molto frequente sul web, che ben rappresenta le modalita “liquide” di incontrarsi oggi. Contatti dalla vita breve, che si attivano e si spengono con facilita, mantenuti fino a che producono un beneficio, un piacere, un soddisfacimento dei propri bisogni, accostamenti fugaci che rifiutano la compenetrazione, relazioni costruite apposta per poter essere interrotte facilmente, senza fatiche o sofferenze. Perche una relazione sia capace di futuro e necessario, invece, investimento stabile, impegno, presenza, continuita, fedelta, responsabilita. Tutte esperienze che tendenzialmente oggi vengono evitate o ridotte al minimo, per superficialita o forse, andando piu a fondo, per paura. Si tratta infatti, nella mentalita odierna, di esperienze potenzialmente pericolose: possono diminuire il piacere immediato, soffocare la realizzazione personale, produrre dipendenza, esporre al rischio dell’abbandono e quindi della sofferenza. Eppure le discipline psicologiche, sostenute recentemente dalle scoperte nell’ambito delle neuroscienze, concordano nel sostenere che l’esperienza relazionale e, in particolare, i legami affettivi primari siano la base della nascita e dello sviluppo psichico dell’individuo: il neonato diventa persona all’interno e in virtu della rete di relazioni nella quale nasce, vive e cresce. La relazione e dunque presupposto imprescindibile, esperienza irrinunciabile, fondante e peculiare dell’uomo.

2. Le basi intersoggetive dello sviluppo

Alfred Adler, caposcuola della Individual Psicologia Comparata, affermava che “Il sentimento sociale e il barometro della normalita” (Adler 1930, 7), a sottolineare come un elemento imprescindibile e necessario per uno sviluppo sano ed una vita armonica sia proprio l’esperienza relazionale. Possiamo dire di piu, sviluppando il pensiero di Adler: non solo l’esperienza relazionale e ingrediente indispensabile per un sano sviluppo ed una vita armonica, ma ne e l’elemento fondante.

Questo concetto e stato ampiamente ripreso ed elaborato da molti autori successivi in psicologia, come Winnicott, pediatra e psicoanalista, che affermava: “Un bambino da solo non esiste” (Winnicott 1951, 168), cioe non puo nascere psicologicamente, come individuo, se non si trova immerso in una relazione. L’attivita psichica di un bambino si sviluppa e si struttura soltanto all’interno di una relazione; invece si blocca, regredisce, si disorganizza se non e in relazione, o se questa viene a mancare o se e molto disturbata.
Tale assunto viene ripreso ed ampliato da Siegel (1999) che, introducendo il concetto di “mente relazionale”, dimostra scientificamente, attraverso studi neuropsicologici, come proprio i circuiti cerebrali, le connessioni neuronali si costituiscano e si attivino sulla base delle esperienze relazionali dell’individuo. Questo processo di “costruzione della mente” si realizza in maniera massiccia durante l’infanzia e l’adolescenza, ma continua ad avvenire anche in eta adulta: il cervello mantiene una certa plasticita in tutte le eta della vita. Dunque e sulla base delle esperienze relazionali, e naturalmente della loro qualita e delle loro caratteristiche, che si plasma il cervello del soggetto in crescita e quindi si struttura il funzionamento neurologico e psicologico dell’individuo.
La scoperta, negli anni ’90, dell’esistenza di particolari neuroni presenti nella corteccia cerebrale, chiamati neuroni a specchio (Rizzolati & Sinigaglia 2006), ci ha dato la prova oggettiva che, non solo la mente si plasma attraverso la relazione, ma anche che il nostro cervello e predisposto alla relazione, e fatto per permetterci di entrare in relazione. I neuroni a specchio sono una classe di neuroni che si attivano quando compiamo un’azione, ma anche quando osserviamo la stessa azione compiuta da un altro soggetto: e come se anche noi facessimo quell’azione, ci identifichiamo con l’azione dell’altro. Studi ulteriori (Gallese 2007; Gallese, Keysers & Rizzolatti 2004; Gallese 2006a) hanno evidenziato come i neuroni a specchio si attivino anche in relazione alle emozioni degli altri, espresse con la mimica facciale, i gesti, i suoni, le parole. Tali scoperte, ancora in fase di approfondimento data la complessita del fenomeno, evidenziano come il nostro cervello si attivi di fronte alle emozioni altrui e ci permetta di sentire emotivamente quello che l’altro sta vivendo: e la base dell’empatia. La capacita di entrare in empatia sarebbe dunque biologicamente determinata; sappiamo tuttavia che si sviluppera in modo piu o meno ampio a seconda delle istanze temperamentali e delle esperienze relazionali che il soggetto fara nel corso del suo sviluppo.

3. Le dinamiche delle relazioni primarie: sintonizzazione, riconoscimento, contenimento e costruzione del Sé

Dunque siamo biologicamente predisposti alla relazione e ci costruiamo nella relazione. Cio e evidente anche soltanto osservando che cosa succede tra una mamma e un bambino piccolo: fin dal momento in cui il neonato esce dalla pancia della mamma, inizia un dialogo molto intenso tra i due (che a dire il vero e gia incominciato prima della nascita, nel ventre materno, un dialogo fatto di movimenti, suoni, scambi chimici intrauterini).

Gia Konrad Lorenz, negli anni ’40 del secolo scorso, aveva evidenziato come una serie di caratteristiche particolari del muso dei piccoli dei mammiferi, compresi i cuccioli di uomo, costituiscano il cosiddetto “prototipo infantile” (Lorenz 1949): testa grande, fronte ampia e sporgente, occhi grandi, guance paffute, forme arrotondate. Questa conformazione del volto istintivamente attrae il soggetto adulto, blocca l’aggressivita e attiva schemi comportamentali di relazione e di cura nei confronti della prole.

In particolare fu poi Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista statunitense, a studiare in modo approfondito le interazioni precoci tra mamma e bambino (Stern 1985). Egli noto come il genitore, su stimolo del prototipo infantile, istintivamente si ponga nei confronti del bambino con tipiche espressioni facciali, vocalizzi, sguardi, presentazioni del volto, comportamenti prossemici, del tutto caratteristici per modalita, frequenza, accentuazione, durata, ripetitivita e diversi rispetto a quelli utilizzati nella relazione con un soggetto adulto.

Mediante tali comportamenti piuttosto accentuati la mamma capta e mantiene l’attenzione del neonato. Questo, a sua volta, possiede l’attitudine innata a riconoscere tali comportamenti sociali e risponde mettendo istintivamente in atto propri schemi comportamentali: il sorriso, i vocalizzi, i movimenti eccitati di braccia e gambe. Si viene così a creare un dialogo tra mamma e bambino, istintivamente attivato, ma che entrambi contribuiscono poi attivamente ad alimentare e a modulare. L’uno stimola l’altro in questo scambio dinamico dove si alternano momenti di eccitazione a momenti di rilassamento, momenti di avvicinamento a momenti di allontanamento, momenti di coinvolgimento a momenti di neutralita, momenti di ripetizione a momenti di novita, andando a produrre quella che Stern chiamo, con una bella espressione, la “meravigliosa danza”. E interessante notare come, fin dall’inizio, il bambino non sia passivo, bensì attivo nella relazione con la madre.

Si avvia così, sulla base di predisposizioni innate e attraverso la ripetizione modulata di sequenze di interazione, il processo della sintonizzazione: la madre riconosce i bisogni e i sentimenti del bambino e presenta un comportamento di risposta corrispondente, atto a soddisfare tali bisogni fisiologici o affettivi; il bambino, a sua volta, riconosce la risposta materna, sperimenta soddisfazione rispetto al bisogno, collega questa esperienza a precedenti esperienze di sintonizzazione, sperimenta coerenza e continuita, sviluppa sicurezza circa il fatto di essere sintonizzato emotivamente con la madre e si sente riconosciuto. Ecco la genesi psicologica di un’esperienza evolutiva ed esistenziale fondamentale: essere riconosciuti, esperienza che permettera poi al bambino di riconoscere se stesso. E necessario che ci sia un altro da me, in relazione con me, che mi riconosca affinche io possa riconoscere me stesso, come entita separata. Nella fusione o nell’esperienza della trascuratezza (fino all’abbandono) non c’e riconoscimento.

Il ripetersi di interazioni caratterizzate da coerenza e sintonizzazione produce nel bambino il sorgere del primo nucleo del Se. Il genitore, attraverso le sue risposte, i suoi rimandi e i suoi rispecchiamenti, trasmette al bambino come lui lo vede e lo vive e da un nome agli stati fisiologici ed emotivi che il bambino inizialmente sperimenta in maniera caotica ed indifferenziata (funzione del “contenimento emotivo”). Il bambino inizia così a vedere se stesso rispecchiato negli occhi della madre, a differenziare il suo mondo interno grazie all’azione di contenimento dei genitori e quindi a costruire su questa base l’immagine di se. Possiamo dire che l’uomo conosce se stesso e costruisce la sua immagine di se attraverso l’altro: la costruzione del Se avviene nella relazione.
Da cio risulta evidente come siano significative le caratteristiche dei caregiver, il loro modo di relazionarsi con il bambino e le risposte che forniscono; in seguito saranno altresì importanti le originali elaborazioni che il soggetto, crescendo, fara circa l’immagine di se, alla luce delle successive esperienze relazionali. Possiamo dunque affermare che le esperienze relazionali precoci costituiscono la base del processo di costruzione del nucleo primario della personalita, ma la plasticita cerebrale e la continuita dell’esperienza relazionale permettono continue elaborazioni e quindi un costante evolversi della personalita anche in eta successive.

4. Corpo, linguaggio, relazione

Non dobbiamo trascurare il fatto che un ruolo fondamentale nel processo di crescita e svolto dal corpo (Bastianini 2011). Il bambino entra in relazione con gli altri e con il mondo primariamente attraverso il corpo. L’esperienza del legame, dunque, non puo prescindere dal corpo. Il bambino e corpo prima di essere pensiero e sentimenti e questi si sviluppano a partire dal corpo in movimento, che sperimenta. Il bambino conosce precocemente se stesso e il mondo attraverso il proprio corpo in azione e in interazione con altri corpi. Le sensazioni corporee sperimentate si depositano nella mente, si aggregano, si articolano nel tempo e ricevono dall’esterno nomi e significati, andando a costituire le prime rappresentazioni mentali di se stessi e del mondo. Esse diventano, via via, piu complesse e differenziate, fino a formare un sistema rappresentazionale interno individuale che e il nostro modo originale di vedere, interpretare e vivere noi stessi e il mondo. Tutto cio pero puo avvenire solo se vi e una relazione che attiva, sostiene e rinforza il processo.

E dall’esperienza relazionale corporea che sorge successivamente il linguaggio verbale. Secondo Stern, esso nasce proprio dall’esperienza della sintonizzazione: la parola e il prodotto dell’unione e del dialogo fra due corpi e due menti, che gia e presente prima della parola. La parola inizialmente e un suono condiviso, che viene poi associato alla rappresentazione di un oggetto: diviene allora suono significante, che traduce verbalmente e collega le rappresentazioni mentali del bambino e del genitore. Potremmo dire che i bambini sviluppano il linguaggio verbale per rinforzare l’esperienza di essere con l’altro, per creare un nuovo e piu efficace modo di interagire con l’altro e di condividere.

Ecco dunque come si costruisce ed evolve il legame tra genitore e figlio. Un legame tuttavia che, se si sviluppa in maniera equilibrata e sana, non contempla solo il fornire risposte gratificanti ai bisogni immediati del bambino, ma, proprio attraverso la sintonizzazione e ponendosi in una prospettiva evolutiva, impara a riconoscere i bisogni sani del bambino, quelli funzionali alla crescita e si colloca nell’ottica di fornire risposte che accompagnino, stimolino, indirizzino il bambino verso uno sviluppo armonico della sua identita e delle sue potenzialita, comprese quelle che gli permettono di entrare e rimanere in relazione con gli altri, fondamentali affinche diventi capace a sua volta di costruire e mantenere legami. Quindi non necessariamente una risposta immediatamente gratificante, ma una risposta utile alla crescita, in armonia con la realta ed il contesto nel quale il bambino vive. Una risposta che va oltre all’individuo nel qui ed ora, ma tiene conto del contesto e di una prospettiva futura.
Possiamo dunque affermare, sulla base dei ragionamenti fin qui condotti, che le relazioni primarie, i legami affettivi di base sono presupposti imprescindibili, esperienze irrinunciabili, fondanti e strutturanti l’essere umano. La psicologia dello sviluppo, attraverso le osservazioni e le sperimentazioni, la clinica psicoterapica, attraverso lo studio e il trattamento dei disturbi e dei disagi psichici, e le neuroscienze, attraverso le recenti scoperte sulla genesi e il funzionamento del cervello, forniscono una conferma chiara e univoca rispetto a tale assunto, sicuramente gia enunciato in precedenza da altre discipline.

5. Lo sviluppo dei legami affettivi: quattro esperienze fondamentali

Fatte queste premesse, entriamo nel merito di quattro esperienze fondamentali che caratterizzano i legami affettivi primari e, per estensione, tutti i legami: l’attaccamento, la fiducia, il desiderio e la cura. Allo stesso tempo, proviamo a tratteggiare quali cambiamenti hanno subito queste esperienze basilari ai giorni nostri e come cio incida sui processi di crescita, sulla costruzione della personalita e sullo sviluppo di nuovi stili relazionali.

5.1. L’attaccamento

Gli autori che hanno messo a punto la teoria dell’attaccamento (Bowlby, Ainsworth e altri), hanno evidenziato come i bambini, fin dalla nascita, siano naturalmente portati a sviluppare un legame nei confronti degli adulti che si occupano di loro. E evidente che una buona sintonizzazione ed esperienze reiterate di comunicazione contingente e coerente producono quello che Bowlby chiamava “attaccamento sicuro” (Bowlby 1969). L’attaccamento sicuro non solo permette al bambino di sperimentare una base solida e rassicurante a cui far riferimento, ma anche di costruire un se solido, organizzato, stabile. Il fare esperienza di una base sicura permette al bambino di sentirsi sufficientemente tranquillo per poter affrontare la realta con autonomia crescente. Inoltre questa esperienza relazionale primaria viene interiorizzata e diviene modello per le relazioni che il bambino andra a costruire successivamente. Piu il bambino sperimenta equilibrio, sintonia, sicurezza, stabilita, solidita, continuita nelle relazioni primarie, piu sara predisposto a sviluppare successivamente relazioni con le stesse caratteristiche.

Possiamo individuare alcune linee di cambiamento nei modelli di attaccamento, sotto l’influenza delle tendenze socio-culturali della societa contemporanea?
Mediamente i genitori di oggi non mancano di attenzioni nei confronti dei bisogni che i bambini esprimono (Grandi & Lerda 2013). Anzi molto spesso il bambino appare come un “piccolo re”, le cui richieste vengono soddisfatte ancor prima di essere espresse, al riparo da ogni forma di sofferenza o mancanza. Il bambino non e piu (ormai da decenni) risorsa materiale per la famiglia, da allevare come futura forza lavoro per il bene individuale e comune, ma, nella societa del benessere, il figlio puo rappresentare piu spesso un oggetto di soddisfazione narcisistica per il genitore (o come dice Bauman [2003] un “oggetto di consumo emotivo”), oppure un prodotto di cui vantarsi, che diventa testimonianza della propria efficienza, misurata sulla base dell’agio e delle opportunita che si possono offrire, e delle competenze ed eccellenze che il bambino riuscira a sviluppare.

Questa impronta narcisistica del legame di attaccamento primario puo fare da “stampo” nel processo di costruzione del se e da “modello” per le relazioni future. Piu che fornire al bambino risposte coerenti ai bisogni sani di sviluppo, quindi funzionali al suo rinforzo in prospettiva futura, le risposte ruotano attorno alla soddisfazione narcisistica del genitore e del bambino. Il bambino e oggetto gratificante e soggetto da gratificare. Si sviluppa non tanto la spinta ad affrontare la vita coraggiosamente, a diventare un adulto capace e responsabile, ad inserirsi dignitosamente e produttivamente nella societa, a contribuire al bene comune attraverso la capacita di riconoscere l’altro e di cooperare, quanto piuttosto l’illusione dell’onnipotenza e il bisogno di essere visto, considerato, ammirato. Su questa base anche le relazioni future tendono a costruirsi su un registro narcisistico. L’altro serve per ricevere conferme, sentirsi importanti, al centro dell’attenzione, non e un soggetto con cui condividere, completarsi, arricchirsi, progettare, costruire.

Si tratta di fatto del meccanismo che sostiene l’uso di molti social network: la vetrina, l’essere visti, la richiesta dei like. Il bisogno di essere considerati, ammirati, applauditi. Sullo stesso principio si basa il fenomeno del “sempre connessi”, che testimonia la necessita di essere sempre in contatto con qualcuno, non “qualcuno in particolare”, ma una “nuvola” di presenze vaga e mutevole, che conferma che ci sono, che mi guarda e mi dice qualcosa, non importa che cosa. Un’impostazione narcisistica che rivela tutta la sua fragilita e contraddittorieta: l’uomo contemporaneo non accetta legami che limiterebbero la sua liberta, che mortificherebbero la sua unicita, che lo farebbero sentire vincolato, tarpato, chiuso, ma, in realta, ha continuamente bisogno di qualcuno che lo confermi, lo rassicuri del fatto che esiste ed e importante, e unico, e speciale, e “seguito”. Mentre afferma di voler essere completamente libero ed autonomo, non “legato”, non vincolato, e in realta profondamente dipendente dagli altri e profondamente fragile: il senso di se dipende in tutto e per tutto dalle conferme degli altri ed e dunque facilmente soggetto a oscillazioni e discontinuita. La presenza dell’altro non si connota come un legame scelto e alimentato per costruire, generare, sviluppare, ma come un contatto di cui non si puo fare a meno per confermare la propria immagine, sopravvivere e placare l’angoscia del vuoto.
Osserviamo inoltre che attualmente i legami di attaccamento funzionano spesso “ad intermittenza”. Quando il genitore c’e, c’e tantissimo, con un’attenzione esclusiva, quasi morbosa: non deve mancare nulla, il rapporto deve essere perfetto. Ma in altri momenti il genitore non c’e e non c’e proprio per nulla, ne fisicamente ne mentalmente (assorbito completamente da qualcos’altro) e viene sostituito da surrogati genitoriali. Da qui una certa discontinuita che probabilmente non contribuisce alla costruzione di quel senso di permanenza, stabilita, coerenza, continuita necessario, come abbiamo visto, per la costruzione di un se solido e armonico. Figure di riferimento a corrente alternata, presenze che si materializzano e si smaterializzano, seguendo il meccanismo del “tutto” o “niente”, possono essere all’origine di funzionamenti psicologici “per estremi”: iper-stimolazione/iperattivita o vuoto insostenibile, soddisfazione completa o frustrazione profonda, da cui puo derivare un senso di valore di se e degli altri misurato sulla base delle sensazioni momentanee di gratificazione o frustrazione, soggette quindi ad oscillazioni abissali.

Si aggiunge al quadro in esame, la crescente instabilita delle famiglie di oggi: un numero sempre in aumento di separazioni coniugali, caratterizzate spesso da un’elevata conflittualita oltre che da repentini ed imprevedibili cambiamenti in termini di tempi condivisi, spazi in cui abitare, modalita di incontro, abitudini. Assistiamo inoltre a trasformazioni significative della famiglia tradizionale, con la comparsa spesso di nuovi personaggi e la costituzione di nuovi nuclei familiari. Modificabilita, fluidita, flessibilita, precarieta, esperienze che difficilmente rispondono alle esigenze di continuita, solidita, coerenza, stabilita che abbiamo visto essere fondamentali per un soggetto in crescita.

Infine osserviamo, nella cultura contemporanea, il predominio del “fare” sullo “stare” (Grandi & Lerda 2013): l’uomo di oggi e inserito in un vorticoso e incessante movimento che lo vede passare da un impegno all’altro, da un ambiente ad un altro, da un’attivita ad un’altra, da un contatto ad un altro. Una modalita iperattiva, frammentata e discontinua, che coinvolge adulti e bambini, e non consente loro di fermarsi (forse anche per evitare l’esperienza della noia, che rimanda oggi ad una insostenibile angoscia del vuoto). Uno stile di vita che disabitua gli adulti e non permette ai bambini di abituarsi a “stare”: stare in un luogo, stare in un gioco, stare ad ascoltare, stare ad osservare, stare a parlare, stare nella relazione, semplicemente godere della presenza dell’altro, dello “stare con”. I genitori oggi danno molto ai loro bambini, ma tendenzialmente stanno poco con loro.

Se il maggior rischio evolutivo in passato derivava dal maltrattamento, dalla trascuratezza o dal non riconoscimento dei bisogni emotivi dei bambini nei legami di attaccamento primari, da cui si potevano sviluppare carenza di sicurezza personale, rabbia, conflitto intergenerazionale e problematiche dell’autostima, oggi il rischio piu significativo e dato dall’impronta narcisistica dei legami familiari, dalla loro discontinuita e frammentarieta, da cui possono derivare centratura su di se, fragilita identitaria, oscillazione tra opposti dell’immagine di se e del mondo (onnipotenza/impotenza, iper- valorizzazione/iper-svalutazione), fuga dall’incontro e da se stessi attraverso l’iperattivita, individualismo e dipendenza patologica.

5.2. La fiducia

La seconda esperienza di base che vogliamo prendere in esame e quella della fiducia. E un’esperienza così fondamentale per la crescita della persona che Erik Erikson (1950), nella sua teorizzazione sugli otto stadi dello sviluppo psicosociale dell’uomo, la pose come compito evolutivo della prima fase, tra gli 0 e i 2 anni vita. Cio significa che il bambino, per iniziare a crescere, deve necessariamente sperimentare la fiducia, che costituisce la base per tutte le successive tappe evolutive.

In un’esperienza relazionale sana tra bambino e genitore, si viene a creare una concatenazione virtuosa di atti di fiducia. Innanzitutto il genitore deve coltivare buona fiducia in se stesso in quanto genitore: questo permette al bambino di sentire di potersi fidare di lui e a lui poter fare riferimento. In secondo luogo il genitore deve fidarsi del bambino e delle sue potenzialita evolutive: questo consente al bambino, a sua volta, di sviluppare fiducia in se stesso e negli altri.

Rispetto al primo punto, registriamo oggi significativi cambiamenti: i genitori si sentono tendenzialmente piu insicuri, impreparati e temono spesso di non essere in grado di compiere bene il proprio compito (Di Summa 2013). Cio che un tempo veniva espletato con naturalezza ed istintivita, e oggi qualcosa per cui ci si sente carenti, bisognosi di una preparazione specifica. Come se, un tempo, il fatto stesso di diventare biologicamente genitori garantisse di essere capaci di svolgere questo ruolo. Se e vero che le minori conoscenze a livello pedagogico e psicologico e un minor grado di consapevolezza circa l’importanza del modo di prendersi cura dei bambini portava i genitori ad interpellarsi di meno circa l’educazione dei figli, e anche vero che vi era un sapere implicito che si tramandava, mansioni di cura che si imparavano naturalmente, un “occuparsi di” che faceva parte della vita familiare e riguardava anche i bambini e i ragazzi, quando un numero piu elevato di figli richiedeva ai fratelli maggiori di seguire i minori. Oggi, il venir meno di queste esperienze, insieme alla maggiore complessita del mondo in cui viviamo, rendono i genitori contemporanei decisamente piu confusi e disorientati di fronte ad un compito che sembra impossibile.

Cio puo produrre un atteggiamento debole del genitore di fronte al bambino, eccessivamente dubbioso e timoroso, che non trasmette solidita e sicurezza. Il bambino si sente coperto di attenzioni, di oggetti e di ansieta, ma spesso non garantito, non protetto, non guidato. Egli ha bisogno di essere ascoltato, ma anche di essere indirizzato, ha bisogno di qualcuno che gli dica che cosa si deve fare e come bisogna fare certe cose, qualcuno che gli permetta di sperimentarsi, ma che gli ponga anche dei limiti. Ha bisogno di sentire dei genitori forti, piu forti di lui, in grado di sorreggerlo e di contenerlo, in grado di difenderlo anche da se stesso, da quelle spinte che lo potrebbero mettere in pericolo.
La forza e l’autorevolezza del genitore devono essere regolate e “impastate” con la fiducia che il genitore ripone nelle capacita evolutive del bambino. Se il genitore si fida delle capacita e delle peculiarita del figlio, la sua autorevolezza non si tradurra in autoritarismo: forza, fermezza, guida, limite, ma non modalita che annulla, non riconosce, schiaccia, plasma a sua immagine e somiglianza.

Avere fiducia nelle potenzialita evolutive del bambino vuol dire anche non sostituirsi a lui, lasciare che affronti le sue difficolta, che trovi le sue soluzioni. Se una mamma prende in braccio il bambino ogni volta che piange e come se gli dicesse implicitamente: “Da solo non ce la fai, hai bisogno di me per stare bene”. L’educazione viziante, molto diffusa oggi, vede il genitore impegnato ad evitare ogni difficolta al bambino, ad eliminare possibili esperienze di frustrazione e di sofferenza, spesso sostituendosi a lui. Tale modalita non aiuta il bambino a crescere, sia perche non gli permette fattivamente di trovare proprie soluzioni ai problemi e di allenarsi a farlo, sia perche gli trasmette un messaggio di sfiducia: “Non mi fido delle tue capacita, non ci riesci da solo, lascia che faccia io”. E il bambino, che si fida del genitore, pensa che sia proprio così e lascia fare, anzi a volte inizia a pretendere che siano la madre o il padre a fare le cose che dovrebbe fare lui, che intervengano subito in suo soccorso, che provvedano immediatamente a soddisfare ogni sua voglia per non dover sopportare una frustrazione. Il bambino diventa un piccolo tiranno, che nasconde, dietro la facciata arrogante e prepotente, una profonda fragilita e sfiducia nelle proprie capacita e risorse.

Come prima accennato infatti, l’esito della catena della fiducia e proprio la fiducia o sfiducia che il bambino sviluppa riguardo a se stesso, l’immagine di se che costruisce. Analogamente a quanto detto riguardo all’attaccamento, sviluppare fiducia in se stessi all’interno di un legame “sicuro” consente di potersi allontanare dal porto e sperimentarsi nel mondo. Inoltre l’aver fatto esperienza di rapporti di fiducia, di rapporti che non schiacciano ma accompagnano e sostengono, permette al bambino, crescendo, di avere maggiori possibilita di fidarsi di altri che incontra sulla propria strada e di sentirsi degno di fiducia.

Fidarsi dell’altro, proprio sul modello di una relazione primaria equilibrata, non significa delegare all’altro, lasciare che l’altro faccia, o lasciarsi condizionare o schiacciare dall’altro, ne pretendere da lui, ma significa decidere di condividere, permettere all’altro di entrare un po’ o tanto nella propria vita, beneficiare del suo aiuto e volerlo dare senza timore di essere sfruttati o rimanere intrappolati. Una fiducia che permette di andare verso l’altro, con attenzione, con prudenza, ma anche correndo qualche inevitabile rischio, sapendo di poterlo sostenere. La fiducia in se stessi e una certa solidita del se, permettono anche di affrontare eventuali delusioni o tradimenti, senza per questo ritirarsi in una chiusura solipsistica difensiva.
Pensare di potersi fidare solo di se stessi e un atteggiamento difensivo molto penalizzante, una scelta spesso dettata dalla paura, di fatto dalla mancanza di fiducia in se stessi, dal timore di non riuscire a sopportare la sofferenza in caso di abbandono, dall’angoscia di perdere la propria individualita e la propria liberta. Nella trincea dei muri difensivi o dall’alto del piedistallo su cui il narcisista si colloca si finisce per sperimentare situazioni di stagnazione, di inaridimento, di svuotamento di significato e, spesso, di malattia, come vedremo (Grandi 2002).

5.3. Il desiderio

Ed e proprio all’interno dell’esperienza del legame che si presenta la dinamica del desiderio, il terzo fattore su cui richiamiamo la nostra attenzione. Laddove, come illustra efficacemente Recalcati (2012), il legame mantiene una connotazione fusionale-narcisistica, il bisogno e immediatamente soddisfatto e la madre non e persona, ma “seno”, oggetto di consumo, non si sviluppa il desiderio. Perche si sviluppi il desiderio e necessaria la Legge, la Legge del Padre, il Terzo che si inserisce nella diade fusionale originaria e mette dei limiti, definisce dei confini, impone delle distanze. Allora inizia a delinearsi l’Altro, il suo esistere separato da me, con le sue caratteristiche, le sue esigenze, i suoi tempi e i suoi modi. Non e oggetto da divorare, includere, distruggere attraverso l’espressione libera delle pulsioni, ma e persona separata con cui interagire, verso cui si sviluppano sentimenti e di cui si puo anche sentire la mancanza quando e lontana e desiderare il suo ritorno, il ricongiungimento.

Un legame dunque in cui si differenzia un Io e un Tu, in cui, come dice Recalcati, “non si puo avere tutto, godere di tutto, sapere tutto, essere tutto”, dove si profila quindi l’eventualita dell’attesa, della frustrazione, della rinuncia, dell’impegno per raggiungere un obiettivo o per mantenere il legame stesso, del sacrificio, ma anche della creativita, dello scambio, del progetto, dell’impresa, della generativita. Senza l’esperienza del limite, non c’e veramente relazione tra un Io e un Tu, un riconoscimento reciproco, il desiderio dell’Altro e il desiderio di essere desiderato dall’Altro, il sentire di avere un valore per l’altro e che l’altro ha valore per me, ma c’e godimento avido, individualista, centrato sull’oggetto feticcio, capriccioso, compulsivo, sregolato, privo di responsabilita, possessivo, distruttivo e autodistruttivo, di fatto anche angosciante.

Il desiderio, dunque, ha una struttura relazionale: proviene dall’Altro e si dirige verso l’Altro. Desiderio, relazione e limite sono strettamente interconnessi nello sviluppo psicologico dell’uomo. Anche rispetto a cio, scorgiamo alcuni rischi nei modelli relazionali proposti dalla cultura contemporanea.

Charmet (2000), gia alcuni anni fa, notava l’avvenuto passaggio da un modello di famiglia di tipo etico-normativo ad un modello di tipo affettivo. La famiglia etica era strutturata sul principio di autorita ed era volta a trasmettere norme e valori: principale obiettivo educativo era che i figli “si comportassero bene e trovassero un posto nella societa”. La famiglia affettiva di oggi, invece, e dedita primariamente a trasmettere affetto e a provvedere alla felicita dei figli: l’obiettivo e che i figli “stiano bene, siano felici, non soffrano”. C’e sicuramente un guadagno dal punto di vista della disponibilita, della vicinanza emotiva, dell’accompagnare, del sostenere con affetto e calore, ma il rischio e che le modalita affettive possano sconfinare in stili educativi iperprotettivi o vizianti che, proprio perche non introducono limiti e norme, non stimolano il desiderio, ma forniscono appagamento immediato, godimento istantaneo, evitamento di ogni forma di frustrazione o limitazione delle possibilita. Con questo approccio educativo, faticano a svilupparsi l’intraprendenza, l’impegno, l’assunzione di responsabilita, il riconoscimento e il rispetto dell’altro come persona “altra” da me e non oggetto di gratificazione, il saper aspettare, rinunciare, tollerare la frustrazione del non avere subito e del non riuscire subito. La carenza di queste attitudini non solo penalizza, rende fragile il bambino/ragazzo di fronte ai compiti della vita, ma lo rende incapace di costruire e mantenere legami significativi nel tempo.

Questo stile educativo, inoltre, pur aspirando alla costruzione idealizzata del nido perfetto, della famiglia felice i cui membri provvedono alla reciproca gratificazione, spesso produce piccoli narcisi che finiscono per tiranneggiare anziche gratificare il genitore, portandolo talvolta a sviluppare reazioni aggressive ed espulsive.

5.4. La cura

Il discorso appena sviluppato ci induce ad affrontare il concetto di cura, la quarta dimensione caratterizzante i legami affettivi primari. E evidente che un essere umano per crescere ha bisogno di cure. Ma che cosa intendiamo per cura? E quali cure?

Rene Spitz, psicoanalista austriaco, nei suoi studi sui bambini orfani dopo la seconda guerra mondiale, aveva osservato che bambini molto piccoli si lasciavano morire o sviluppavano gravissimi sintomi depressivi anche se venivano accuditi dalle infermiere nei loro bisogni fisiologici in maniera piu che adeguata (Spitz 1965). Che cosa mancava? Mancava un adulto che si prendesse “cura” di loro, nel senso piu profondo del termine. Non solo cure materiali (nutrire, rispondere ai bisogni fisiologici, curare la salute) e neanche solo cure affettive generiche (fornire genericamente contatto fisico, calore, affetto), ma, come dice Luigina Mortari (2006), cure “particolari”, non “anonime”, cioe cure che tengano conto dell’unicita e peculiarita di quel bambino, cure che si basino sul riconoscimento dell’altro, sul desiderio dell’altro e del suo bene.
Il bambino, cioe, ha bisogno di sentire di essere nella mente del genitore. E il genitore che cura, avendo a mente il bambino e riconoscendo le sue potenzialita ad esistere, a crescere, a diventare adulto, si adopera perche vi siano le condizioni affinche queste potenzialita possano tradursi in reali capacita, il bambino possa sperimentarle, riconoscerle e svilupparle per poter “diventare quello che puo essere”. Non si tratta dunque di forgiare, ma di permettere al soggetto di cui ci prendiamo cura di trovare e percorrere la sua strada esistenziale. Si tratta quindi di coltivare e consentire al soggetto stesso a sua volta di custodire e nutrire il “desiderio di esistere”, di esserci nella propria qualita unica e singolare. Si tratta anche di mantenere viva la fiducia originaria nella vita, in se stessi e negli altri; questa fiducia, anche se ben coltivata e sperimentata nelle relazioni primarie, rimane di fatto fragile di fronte alle fatiche dell’esistere e del crescere. E necessario dunque continuare a prendersene cura perche possa mantenersi e svilupparsi.

Nelle pratiche educative contemporanee assistiamo, per certi versi, ad una svalutazione del “prendersi cura” inteso in questo modo. Recentemente abbiamo piu spesso sentito parlare, ad esempio in ambito scolastico, di apprendimento efficace, sviluppo delle competenze, obiettivi didattici. Quindi tecniche, strategie, modelli per aumentare l’efficacia dell’insegnamento e potenziare gli apprendimenti. Nello stesso tempo verifichiamo una crescente necessita di categorizzare, incasellare, medicalizzare: in ogni classe abbiamo gli alunni con DSA, gli iperattivi, gli autistici, gli stranieri, gli svantaggiati sociali. E i bambini dove sono finiti? E senza dubbio utile riconoscere e definire le difficolta, gli eventuali profili psicopatologici, così come le capacita e le competenze individuali, in modo da predisporre interventi didattici finalizzati a valorizzare ed ottenere il massimo dei risultati a partire dalle potenzialita presenti in ciascuno. Ma sarebbe altresì importante che insegnanti ed educatori dedicassero energie e tempo nei loro percorsi di formazione ed aggiornamento, e poi nella loro pratica professionale, per sviluppare o potenziare la propria sensibilita e le proprie capacita di accostarsi al bambino per coglierne le sue peculiarita e modalita esistenziali, non solo le sue abilita, le sue competenze o i suoi deficit. Cio risulta indispensabile affinche il processo educativo si sviluppi nella dimensione del “prendersi cura” e non solo del redigere documenti e piani individualizzati che stabiliscano misure dispensative e compensative e criteri di valutazione (seppur utili). Si tratta di saper cogliere e almeno tentare di entrare in sintonia con il “modo di essere al mondo” di quel bambino o di quel ragazzo, e di lavorare con lui affinche sviluppi consapevolezza di se, delle proprie potenzialita e delle proprie difficolta, non solo sul piano cognitivo, ma anche emotivo e relazionale, e possa coltivare fiducia nella possibilita di diventare quello che puo essere.

Ma ancora una volta questo non puo che passare attraverso la relazione, non attraverso un test o una tecnica educativa. Un prendersi cura che sostenga il desiderio di esserci e la fiducia del bambino in se stesso, e nello stesso tempo gli permetta di vivere l’esperienza dell’“essere con” e le potenzialita creative che si sprigionano dalla relazione.

Sentire che qualcuno si prende cura di me significa sentirmi nella mente di qualcuno, non solo nel senso che qualcuno si ricorda di me, ma anche nel senso che qualcuno mi riconosce, mi pensa, elabora qualcosa proprio per me, per come sono fatto io, per quelle che sono le mie caratteristiche e le mie possibilita di crescita. Qualcuno che parte da me, non da un’immagine ideale di me o un’immagine anonima di bambino o di persona.

C’e da aggiungere, a proposito del discorso sulla cura e piu in generale delle relazioni, che, se e vero che siamo predisposti alla relazione e che l’aver ricevuto cure apre alla possibilita di offrire cure a nostra volta, cio non avviene automaticamente: e necessario un intervento educativo. La predisposizione alla relazione diventa capacita e pratica se viene educata. Educare alla relazione non vuol dire solo amare il bambino affinche diventi capace di amare, ma anche metterlo nelle condizioni perche si eserciti ad amare e chiedergli di farlo. Vuol dire, ad esempio, aiutarlo gradualmente a prendere coscienza che la relazione, a partire da quella con il genitore, deve andare nelle due direzioni, deve essere caratterizzata da reciprocita. E quindi portarlo a riconoscere che il genitore non e solo un dispensatore di cure, ma un soggetto che deve essere riconosciuto in quanto tale, che dunque richiede rispetto, attenzione, collaborazione. Il bambino deve essere stimolato a cooperare, ad aiutare, a mettersi al servizio a partire dall’ambiente familiare, con i genitori, con i fratelli. La connotazione narcisistica delle relazioni primarie (di cui abbiamo parlato), la tendenza alla viziatura, il contrarsi delle famiglie, sempre piu isolate nel nucleo stretto e sempre piu caratterizzate dalla presenza di un solo figlio, hanno notevolmente ridotto l’azione educativa, che passa attraverso la pratica quotidiana, volta a sviluppare la capacita di “prendersi cura”.

Le argomentazioni finora proposte ci riportano alle premesse: da un lato abbiamo la conferma che la relazione e presupposto imprescindibile, esperienza irrinunciabile, fondante e peculiare dell’uomo, indispensabile per la sua crescita e la sua vita; dall’altro risulta evidente che i mutamenti socio- culturali e le trasformazioni degli stili di vita sicuramente hanno influito ed influiscono sul modo di vivere oggi le relazioni e sulle caratteristiche dei legami. A partire dall’esame dei legami primari, su cui si struttura la personalita e che fungono da modello per le successive esperienze relazionali, ravvisiamo elementi di criticita che riguardano la continuita, la profondita, la stabilita e, ancor prima, il desiderio del legame stesso e del suo mantenimento. E messa in crisi la capacita di “stare” in relazione e di “rimanere” in relazione, di viversi in una prospettiva progettuale condivisa.

6. “Stare” in relazione oggi: l’importanza di cogliere e sviluppare i segnali promettenti

Tale analisi della societa contemporanea puo portare ad un certo scoraggiamento, indurre a vedere nelle attuali tendenze e nel funzionamento degli individui e dei gruppi sociali di oggi qualcosa di gia deteriorato ed ancora in rapida evoluzione negativa. Allo stesso tempo tuttavia, la trattazione svolta evidenzia che, se sappiamo rivedere, riconoscere e rimettere in gioco cio che e intrinsecamente ed essenzialmente umano fin dal momento in cui siamo concepiti, se sappiamo cogliere alcuni segnali deboli che anche le nuove generazioni producono e se sappiamo leggere tra le righe di alcuni eventi e comportamenti di oggi, troviamo tracce e premesse di possibili “futuri” meno catastrofici o addirittura promettenti.

Vediamo sinteticamente alcuni di questi segnali.

Facendo riferimento alla mia esperienza professionale di psicoterapeuta e ai continui confronti con i colleghi dell’Istituto di Psicologia Individuale “A. Adler”, posso testimoniare che e sempre piu frequente la richiesta di consulenza da parte di genitori, che si mettono autenticamente in gioco per rivedere e provare a modificare non solo il loro modo di educare, ma anche il loro modo di “stare” nelle relazioni familiari. Questo, certo, evidenzia una fragilita presente, ma anche una volonta e un impegno a lavorare su di se. Assistiamo anche, negli ultimi anni, ad un aumento significativo della richiesta di consulenze, incontri, conferenze, corsi sui temi della relazione educativa e, in particolare, delle regole e dei limiti, da parte di scuole, associazioni di genitori, enti di formazione. E vero che queste richieste sono dettate in prima battuta dalla difficolta in cui si trovano i genitori e gli insegnanti alle prese con bambini ingestibili, ma contemporaneamente e senza dubbio aumentata la consapevolezza che gli stili educativi permissivi e vizianti risultano fallimentari ed ostacolano la crescita individuale e sociale, con una serie di conseguenze sul modo di vivere le relazioni e i legami di cui abbiamo parlato. Vediamo anche, lavorando nelle scuole, che, accanto alla “medicalizzazione” e “classificazione” a cui si accennava prima, si stanno sviluppando tutta una serie di iniziative e buone prassi orientate a curare la relazione tra insegnante e allievo e a favorire la socializzazione, la cooperazione, la solidarieta, lo spirito di gruppo tra studenti, sia attraverso la costruzione di un ambiente favorevole, sia attraverso la proposta di attivita esperienziali orientate (in questo la psicologia e la filosofia applicata danno importanti contributi). E la nostra esperienza ci mostra che i ragazzi colgono, si lasciano sollecitare e “risuonano” perche riconoscono la profondita di tali esperienze.

Vi sono anche persone adulte che decidono di iniziare un percorso di psicoterapia, non solo per risolvere un disturbo o liberarsi da un sintomo, anche se spesso questa e l’urgenza iniziale, ma per interrogarsi e mettersi in discussione, avvertendo che lo stile di vita sviluppato, spesso malato dal punto di vista relazionale, deve essere messo sotto la lente di ingrandimento. Gli aspetti disarmonici di se che vanno consapevolizzati sono sempre, in qualche modo, legati alla propria storia di relazione e alle caratteristiche dei legami sperimentati. Allo stesso modo, il processo di guarigione non passa attraverso la riparazione o la sostituzione di un pezzo rotto o mancante, ma attraverso la rivisitazione e ridefinizione di se nel rapporto con gli altri.

Nei racconti delle persone che incontriamo per lavoro o nella vita privata, inoltre, sentiamo spesso il rifiorire del desiderio di “stare con”: dopo anni di tendenza alla dispersione e all’isolamento, vediamo ora spinte in contro- tendenza. Si moltiplicano i luoghi di ritrovo, magari meno naturali del cortile o della piazza di un tempo, ma “costruiti” nella forma di locali, feste, eventi culturali, manifestazioni che, tuttavia, a fianco del risvolto commerciale, denunciano un desiderio di relazione, di condivisione, di appartenenza (pur dovendo fare opportuni distinguo situazione per situazione). Allo stesso modo, il fiorire delle associazioni, delle organizzazioni di volontariato, delle iniziative umanitarie evidenziano questa tendenza (Guidi, Fonovic & Cappadozzi 2017). Se poi guardiamo al mondo giovanile, possiamo senza dubbio scorgere, tra le righe di fenomeni e comportamenti emergenti, segnali deboli ma significativi di riattivazione sul versante relazionale, che denunciano un bisogno ed un rifiorire dei legami. Da una recente ricerca del nostro Istituto sull’utilizzo della rete internet e dei social network da parte degli adolescenti e la ricaduta sul loro comportamento relazionale (Lerda & Lo Sapio 2014) si e evidenziato che, nonostante le “distorsioni” che tali strumenti introducono, continua a confermarsi un intimo bisogno di relazione e di legame, che va riconosciuto e coltivato.

I ragazzi di oggi, pur nelle loro contraddizioni, con il loro linguaggio e subendo le influenze del nostro tempo, continuano a dimostrare lo stesso bisogno, la stessa tensione di fondo. Nella maggior parte dei casi, nonostante si muovano sul terreno instabile e liquido della nostra cultura e dei nostri stili di vita, nonostante facciano esperienze relazionali discontinue o frammentate, nonostante si facciano interpreti di modalita superficiali, anonime o narcisistiche di relazione (di fatto piu semplici e di piu facile consumo), opportunamente interpellati e sollecitati, ancora esprimono il bisogno di una presenza, di relazioni reali e concrete, di costruire e mantenere legami solidi, di mettersi in gioco personalmente ed emotivamente nelle relazioni e di sentire che l’altro fa lo stesso con loro, il bisogno di continuita, stabilita, sicurezza, reciprocita.
Sta a ciascuno di noi recuperare questa consapevolezza e favorire cio che e presente ed essenziale in noi, non perche e bene fare così, perche “stare con gli altri” e mantenere legami e moralmente conveniente, ma perche noi siamo fatti così, e insito nella nostra natura, e se rinunciamo alle relazioni e ai legami, o se fuggiamo da essi, finiamo per ammalarci.
Come spesso ricorda L. G. Grandi nei suoi scritti e nei momenti di formazione, l’affermazione “io basto a me stesso” e espressione di malattia (Grandi 2016). Lo conferma anche la psicoanalista francese Ternynck, il cui celebre libro L’uomo di sabbia (2011) presenta come sottotitolo nella versione originale: “L’individualismo ci rende malati”. Pensare di bastare a se stessi vuol dire aver perso il contatto con la propria interiorita e con il nucleo essenziale di se e, allo stesso tempo, aver perso il contatto con la realta. Bastare a se stessi e un’illusione, da cui non puo che derivare insoddisfazione, malessere, solitudine, autodistruzione.
Consapevolizzare questo significa impegnarsi nella quotidianita ad “esserci” nelle relazioni con gli altri e a rivitalizzare quelle esperienze di sintonizzazione, attaccamento, fiducia, desiderio e cura, condizioni essenziali per una crescita sana ed una vita armonica.

7. Conclusioni

Il presente contributo, ripercorrendo le linee principali dei processi di sviluppo e delineando i bisogni evolutivi e le esperienze relazionali fondanti la costruzione della persona, non vuol essere soltanto una sintesi del pensiero di alcuni autori che si sono occupati di questi temi in ambito psicologico, ma si propone di evidenziare aspetti fondamentali della vita dell’uomo contemporaneo su cui orientare la nostra attenzione, le nostre riflessioni e, infine, il nostro impegno. La finalita e quella di contribuire ad alimentare una cultura e una prassi che rilancino un approccio sano alle relazioni e sostengano la possibilita di costruire ed esperire ancora legami “capaci di futuro”.

Il riconoscere i condizionamenti della cultura post-moderna sulle esperienze basilari dell’attaccamento, della fiducia, del desiderio e della cura, significa acquisire strumenti di lettura critica circa i comportamenti sociali e gli atteggiamenti educativi che stanno producendo mutamenti strutturali nel funzionamento psicologico dell’uomo, con ricadute sul modo di vivere le relazioni e costruire i legami, spesso penalizzanti dal punto di vista di un armonico sviluppo individuale e di una sana realizzazione all’interno della comunita in cui viviamo.

L’ipotesi centrale di questo lavoro e che, a fronte degli stimoli esterni da cui siamo costantemente sollecitati e dei nuovi bisogni indotti ed operanti in noi consapevolmente ed inconsapevolmente, si possa lavorare a livello educativo e formativo per non perdere di vista quelli che sono i presupposti essenziali ed irrinunciabili di un percorso armonico di crescita.

Si tratta di promuovere e sostenere riflessioni ed azioni concrete che permettano di riprendere contatto e dare spazio a quei sani bisogni di relazione evidenziati nella trattazione precedente, la cui realizzazione e indispensabile non solo per il soggetto in crescita, ma anche per l’individuo adulto che intenda accedere ad un percorso di vita rispondente alle sue istanze piu profonde, connotate da bisogni di condivisione, intimita e generativita.

La consapevolezza circa le conseguenze negative delle dinamiche narcisistiche, dell’instabilita dei legami familiari, della presenza intermittente dei genitori, della prevalenza del “fare” sullo “stare” nei percorsi di sviluppo (per citare alcuni degli aspetti trattati nei paragrafi precedenti) sollecita a porre attenzioni particolari nei confronti dei soggetti in crescita, al fine di rinforzare quelle esperienze che garantiscano la costruzione di legami di attaccamento caratterizzati da continuita, solidita, stabilita, reciprocita, fiducia. Tali esperienze costituiscono condizioni essenziali affinche il futuro adulto sia dotato della struttura psichica e degli strumenti necessari per costruire, sostenere e mantenere a sua volta relazioni e legami affettivi, indispensabili per il suo benessere. Sviluppare questa consapevolezza e agire per creare condizioni che facilitino la costruzione e la sperimentazione di relazioni educative sane, puo costituire anche per l’adulto di oggi uno stimolo per la propria vita, una motivazione ed un impegno a ritrovare dentro di se i bisogni e le spinte vitali fondamentali, che necessitano di essere espresse, alimentate, condivise.

La precarieta, l’insicurezza, la carenza di autorevolezza, la viziatura, l’indebolimento degli atteggiamenti di cura “particolare” (per citare altri aspetti affrontati in questo scritto) che permeano gli atteggiamenti e le pratiche educative odierne, devono essere portati a consapevolezza e problematizzati, al fine di stimolare processi di cambiamento attraverso opportuni interventi formativi. Riscoprire, ad esempio, il valore e l’utilita dei limiti e delle regole, pur tenendo conto della complessita e varieta degli attuali contesti, oppure coltivare un approccio alla persona che non isoli le parti e potenzi le prestazioni, ma si prenda cura della globalita e della specificita del soggetto inserito nella comunita, sono esempi di azioni educative e formative che agiscono contro tendenza (di cui vediamo gia importanti segnali oggi) e che risultano piu che mai potenti nei processi di accompagnamento alla crescita perche non rimangono sul piano astratto della teoria o dello slogan, ma si sviluppano nel concreto dell’esperienza relazionale (che diviene così, nel contempo, oggetto e strumento degli interventi stessi), rispondendo ai bisogni piu profondi dell’uomo e riattivando quel potenziale creativo che permette di guardare con speranza al domani.
In estrema sintesi di tratta di riconoscere, per poter rilanciare e coltivare, l’essenzialita e la potenza degli affetti e dei legami, ingredienti fondamentali ed irrinunciabili nella progettazione di una qualsiasi idea di futuro umanamente sostenibile. Estrapolando le parole del personaggio Titta di Girolamo nel film di Sorrentino

Opere citate

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I “nuovi bambini” in psicoterapia: dalle dinamiche impotenza-onnipotenza al processo inferiorità-superiorità. Riflessioni e strategie terapeutiche

I “nuovi bambini” in psicoterapia: dalle dinamiche impotenza-onnipotenza al processo inferiorità-superiorità. Riflessioni e strategie terapeutiche BLAST

Summary – NEW CHILDREN IN PSYCHOTHERAPY: FROM OMNIPOTENCE-IMPOTENCE DYNA- MICS TO INFERIORITY-SUPERIORITY PROCESS. REFLECTIONS AND THERAPEUTIC STRATE- GIES. Recent socio-cultural changes have a significant impact on the growth process of children today and produce new psychic dynamics. The inferiority feeling theorized by Individual Psychology, based on expe- rience first and then awareness of his own limitations that leads to the desire to overcome them, gives way to the illusion of omnipotence created by the lack of limits that characterizes the new educational styles. The weakening of the Father’s Law produces the child remain in the kingdom of pleasure, narcissistic bond, non-recognition of the Other. Even in psychotherapy, we notice a decrease of cases in which the initial focus of the intervention treats the compensations of inferiority feelings, while we see an increase of situa- tions where it is necessary to provide a containment and differentiation of a chaotic and unregulated inner world, to support the recognition of limits and of the Other, to reinforce the capacity to tolerate frustration that the impact with social reality implies, to reduce omnipotence-impotence oscillations to which the child today is exposed. Objectives of this communication are to present these phenomena and to describe the kind of work on the emotional world that is necessary in therapy with new children, through careful modulation of the relationship and a parallel training for parents in order to produce changes in educational methods. In many situations, the psychotherapeutic work on inferiority feeling, compensations and their harmonization with social interest is a more advanced step in which the child accesses only after reaching a more mature psychic level of functioning.

La società contemporanea è attraversata da profondi cambiamenti dettati da numerosi fattori: la precarietà economica e sociale, il relativismo culturale ed etico, la globaliz- zazione e il superamento dei limiti, il post-materialismo e l’individualismo.
Sul piano delle relazioni interpersonali, Z. Bauman [3] parla di “amore liquido”, per indicare relazioni caratterizzate da istantaneità, brevità, transitorietà, superficialità, oc- casionalità ed inconsistenza. Relazioni che potremmo meglio definire “contatti”, per utilizzare un termine molto frequente sul web. Contatti che si attivano e si spengono con facilità, mantenuti fino a che producono un beneficio, un piacere, un soddisfacimento immediato dei propri bisogni; approcci che rifiutano la compenetrazione, rela- zioni costruite apposta per poter essere interrotte facilmente, senza fatiche o sofferenze. È evidente che tali aspetti vadano ad incidere anche sul processo di crescita dei bam- bini e producano nuove dinamiche psicologiche. Il sentimento di inferiorità teorizzato dalla Psicologia Individuale, fondato sull’esperienza prima e la consapevolezza poi dei propri limiti da cui scaturisce il desiderio del loro superamento, cede il passo all’il- lusione di onnipotenza dettata dalla carenza di limiti che caratterizza i nuovi stili edu- cativi. L’indebolimento della Legge del Padre produce il permanere del bambino nel regno del piacere, del legame narcisistico, del non-riconoscimento dell’Altro da Sé.

Mediamente i genitori di oggi non mancano di attenzioni nei confronti dei bisogni che i bambini esprimono [8]. Anzi, molto spesso il bambino appare come un “piccolo re”, le cui richieste vengono soddisfatte ancor prima di essere espresse, al riparo da ogni forma di sofferenza o mancanza. Il bambino non è più risorsa materiale per la famiglia, da allevare come futura forza lavoro per il bene individuale e comune, ma, nella società del benessere, il figlio può rappresentare più spesso un oggetto di sod- disfazione narcisistica per il genitore (o come dice Bauman un “oggetto di consumo emotivo”), oppure un prodotto da esibire, come testimonianza della propria efficienza, misurata sulla base dell’agio e delle opportunità che si possono offrire, e delle compe- tenze ed eccellenze che il bambino riuscirà a sviluppare.

Questa impronta narcisistica del legame primario può fare da “stampo” nel processo di costruzione del sé e da “modello” per le relazioni future. Più che fornire al bam- bino risposte coerenti ai bisogni sani di sviluppo, quindi funzionali al suo rinforzo in prospettiva futura, le risposte ruotano attorno alla soddisfazione narcisistica del genitore e del bambino. Il bambino è oggetto gratificante e soggetto da gratificare. Si sviluppa, non tanto la spinta ad affrontare la vita coraggiosamente, a diventare un adulto capace e responsabile, ad inserirsi dignitosamente e produttivamente nella società, a contribuire al bene comune attraverso la capacità di riconoscere l’altro e di cooperare, quanto piuttosto l’illusione dell’onnipotenza e il bisogno di essere visto, considerato, ammirato. Su questa base anche le relazioni future tendono a costruirsi su un registro narcisistico. L’altro serve per ricevere conferme, sentirsi importanti, al centro dell’attenzione non è un soggetto con cui condividere, completarsi, arricchirsi, progettare, costruire.

Oggi, osserviamo anche un’altra caratteristica delle relazioni primarie: l’intermitten- za. Quando il genitore è presente, appare completamente dedicato, ha un’attenzione esclusiva, quasi morbosa: non deve mancare nulla, il rapporto deve essere perfetto. Ma in altri momenti il genitore non c’è e non c’è proprio per nulla, né fisicamente né mentalmente (assorbito completamente da qualcos’altro) e viene sostituito da surro- gati genitoriali. Da qui una certa discontinuità che non contribuisce alla costruzione di quel senso di permanenza, stabilità, coerenza, continuità necessari per la costru-zione di un Sé solido ed armonico. Figure che si materializzano e si smaterializzano, seguendo il meccanismo del “tutto” o “niente”, possono contribuire al rinforzo di particolari funzionamenti psicologici “per estremi”: iper-stimolazione/iperattività o vuoto insostenibile, soddisfazione completa o frustrazione profonda, da cui un senso di valore di sé e degli altri, misurato sulla base delle sensazioni momentanee di grati- ficazione o frustrazione, sono soggette quindi ad oscillazioni abissali.

È evidente inoltre, nella cultura contemporanea, il predominio del “fare” sullo “stare” [8]: l’uomo di oggi è inserito in un vorticoso ed incessante movimento che lo vede passare da un impegno all’altro, da un ambiente ad un altro, da un’attività ad un’altra, da un contatto ad un altro. Una modalità iperattiva, frammentata e discontinua, che coinvolge adulti e bambini e non consente loro di fermarsi. Uno stile di vita che disa- bitua gli adulti e non permette ai bambini di abituarsi a “stare”: stare in un luogo, stare in un gioco, stare ad ascoltare, stare ad osservare, stare a parlare, stare nella relazione, semplicemente godere della presenza dell’altro, dello “stare con”. Oggi, i genitori danno molto ai loro bambini, ma tendenzialmente stanno poco con loro.

In passato, il maggior rischio evolutivo derivava dal maltrattamento, dalla trascura- tezza o dal non riconoscimento dei bisogni emotivi dei bambini, da cui si potevano sviluppare carenza di sicurezza personale, rabbia, conflitto intergenerazionale e pro- blematiche dell’autostima. Oggi il rischio più significativo è dato dall’impronta narci- sistica dei legami familiari, dalla loro discontinuità e frammentarietà, da cui possono derivare centratura su di sé, fragilità identitaria, oscillazione tra opposti (onnipotenza/ impotenza, iper-valorizzazione/iper-svalutazione), fuga dall’incontro e da se stessi at-traverso l’iperattività, individualismo e dipendenza patologica.

I genitori di oggi si sentono tendenzialmente più insicuri, impreparati e temono spes- so di non essere in grado di svolgere bene il proprio compito [5]. Ciò che un tempo veniva espletato con naturalezza ed istintività, è oggi qualcosa per cui ci si sente carenti, bisognosi di una preparazione specifica. Ciò può produrre un atteggiamento debole del genitore di fronte al bambino, eccessivamente dubbioso e timoroso, che non trasmette solidità e sicurezza. Il bambino si sente coperto di attenzioni, di oggetti e di ansietà, ma spesso non garantito, non protetto, non guidato. Egli ha bisogno di essere ascoltato, ma anche di essere indirizzato, ha bisogno di qualcuno che gli dica che cosa si deve fare e come bisogna fare certe cose, qualcuno che gli permetta di spe- rimentarsi, ma che gli ponga anche dei limiti. Ha bisogno di sentire dei genitori forti, in grado di sorreggerlo e di contenerlo, in grado di difenderlo anche da se stesso, da quelle spinte che lo potrebbero mettere in pericolo.

La forza e l’autorevolezza del genitore devono essere regolate e “impastate” con la fiducia che il genitore stesso ripone nelle capacità evolutive del bambino. Se il ge- nitore si fida delle capacità e delle peculiarità del figlio, la sua autorevolezza non si tradurrà in autoritarismo: forza, fermezza, guida, limite, ma non modalità che annulla, non riconosce, schiaccia, plasma a sua immagine e somiglianza. Avere fiducia nelle potenzialità evolutive del bambino, vuol dire anche non sostituirsi a lui, lasciare che affronti le sue difficoltà, che trovi le sue soluzioni. Sviluppare fiducia in se stessi all’interno di un legame “sicuro” consente di potersi allontanare dal porto e sperimen- tarsi nel mondo. Inoltre, l’aver fatto esperienza di rapporti di fiducia, di rapporti che non schiacciano ma accompagnano e sostengono, permette al bambino, crescendo, di avere maggiori possibilità di fidarsi di altri che incontra sulla propria strada e di sentirsi degno di fiducia.

È proprio all’interno dell’esperienza del legame che si presenta la dinamica del desi- derio. Laddove il legame mantiene una connotazione fusionale-narcisistica [11], lad- dove il bisogno è immediatamente soddisfatto e la madre non è persona, ma “seno”, oggetto di consumo, non si sviluppa il desiderio. Perché si sviluppi il desiderio è necessaria la Legge, la Legge del Padre, il Terzo che si inserisce nella diade fusionale originaria e mette dei limiti, definisce dei confini, impone delle distanze. Allora inizia a delinearsi l’Altro, il suo esistere separato, con le sue caratteristiche, le sue esigenze, i suoi tempi e i suoi modi. Non è oggetto da divorare, includere, distruggere attraverso l’espressione libera delle pulsioni, ma è persona separata da riconoscere e rispettare. Un legame dunque in cui si differenzia un Io e un Tu, dove si profila quindi l’even- tualità dell’attesa, della frustrazione, della rinuncia, dell’impegno per raggiungere un obiettivo o per mantenere il legame stesso, ma anche della creatività, dello scambio, del progetto, dell’impresa, della generatività.

Anche rispetto a ciò, scorgiamo alcuni rischi nei modelli relazionali proposti dalla cultura contemporanea.

Nel corso degli ultimi decenni, è avvenuto il passaggio da un modello di famiglia di tipo etico-normativo ad un modello di tipo affettivo [4]. La famiglia etica era struttura- ta sul principio di autorità ed era volta a trasmettere norme e valori: principale obietti- vo educativo era che i figli “si comportassero bene e trovassero un posto nella società”. La famiglia affettiva di oggi, invece, è dedita primariamente a trasmettere affetto e a provvedere alla felicità dei figli: l’obiettivo è che i figli “stiano bene, siano felici, non soffrano”. C’è sicuramente un guadagno dal punto di vista della disponibilità, della vi- cinanza emotiva, dell’accompagnare, del sostenere con affetto e calore, ma il rischio è che le modalità affettive possano sconfinare in stili educativi iperprotettivi, permissivi e vizianti che, proprio perché non introducono limiti e norme, non stimolano il deside- rio, ma forniscono appagamento immediato, godimento istantaneo, evitamento di ogni forma di frustrazione o limitazione delle possibilità. Con questo approccio educativo, i bambini faticano a sviluppare l’autonomia, la capacità di fronteggiare i problemi reali, il senso di responsabilità, la tolleranza alla frustrazione, il riconoscimento e il rispetto dell’altro come persona “altra” da loro e non oggetto di gratificazione.

Questo stile educativo, idealmente, aspira alla costruzione del nido perfetto, della “famiglia felice” i cui membri provvedono alla reciproca gratificazione, ma spesso produce piccoli narcisi che finiscono per tiranneggiare i genitori.

Il complesso di inferiorità sperimentato da questi bambini non trova adeguata com- pensazione in una sana aspirazione alla superiorità, ma dà vita a ipercompensazioni attraverso il dominio sull’altro e sviluppando fantasie di onnipotenza.
Alcune di queste riflessioni sulle caratteristiche dei bambini di oggi, sono frutto della cultura contemporanea e dei nuovi stili educativi.

Ma come si presentano questi “nuovi bambini” in psicoterapia?
Innanzitutto, notiamo un diminuire dei casi in cui il fulcro iniziale dell’intervento si articola attorno alla compensazione dei sentimenti di inferiorità, mentre registriamo un incremento delle situazioni in cui è necessario sostenere un processo di conte- nimento e differenziazione di un mondo interno caotico e non-regolato, di ricono- scimento del limite e dell’Altro da Sé, di rinforzo delle capacità di tollerare la fru- strazione che l’impatto con la realtà sociale comporta, di riduzione delle oscillazioni onnipotenza-impotenza a cui il bambino di oggi è esposto.

Come già sviluppato in altri articoli del nostro Istituto circa il lavoro con e attraverso l’immaginario nei percorsi di psicoterapia in età evolutiva [2, 9], è evidente che l’im- maginario infantile è da sempre popolato di personaggi coraggiosi che, affrontando difficoltà e pericoli, lupi e streghe, raggiungono insperate mete e conquistano ricchez- ze e cuori. È attraverso i processi di identificazione che i bambini si incoraggiano ed affrontano paure, risolvono dubbi, elaborano sentimenti ambivalenti. In psicoterapia, il giocare i diversi ruoli da parte del bambino e del terapeuta insieme, permette di met- tere in scena i vissuti e le dinamiche intra ed etero-psichiche, dove la stessa rappre- sentazione ha funzione, oltre che di contenimento, anche di incoraggiamento perché mostra possibili evoluzioni, implicite nel significato simbolico dei personaggi stessi e nelle sequenze spesso attinte dalla tradizione fiabesca.

Più recentemente, nuove figure e nuovi scenari affollano la fantasia dei bambini, tal- volta offrendo la medesima possibilità di rappresentare ed elaborare gli stessi conte- nuti del mondo interno semplicemente “vestiti” in modo differente, più spesso favo- rendo l’espressione ed il rinforzo di nuovi bisogni legati alla cultura contemporanea. I temi della distruttività e della potenza paiono essere quelli prevalenti, insieme ad una persistente inquietudine di fondo e ad un elemento magico-onnipotente pervasivo. I “nuovi personaggi” e, di conseguenza, il nuovo assetto dell’immaginario infantile, presentano come centrale più la dimensione della potenza che del coraggio.

La lotta tra il Bene e il Male, tra le istanze positive e quelle negative, tra quelle di vita e quelle di morte si gioca con le stesse armi da entrambe le parti, spesso in maniera confusiva: vince colui che ha più poteri ed il potere sta nel difendersi dagli attacchi dell’altro e distruggerlo. La spinta vitale dell’aspirazione alla superiorità si manifesta prevalentemente nella forma della volontà di potenza che si esprime come dominio, sopraffazione, azioni distruttive. Pare non esservi più traccia dei percorsi di crescita di quei piccoli personaggi, intimoriti di fronte ai compiti della vita, ma “armati” di intelligenza, sentimento sociale e coraggio, che affrontano mille difficoltà ed ostacoli

per arrivare ad una meta di benessere ed armonia.
Lo scontro tra potenze rimanda alla necessità di essere sempre più corazzati ed aggres- sivi: di qui il tema frequentissimo delle trasformazioni, delle evoluzioni, dell’assun- zione continua di nuovi poteri. La formazione di un’identità avviene attraverso la stra- tificazione di armature, corazze, armi o attraverso fusioni di diversi personaggi (non attraverso la collaborazione). Un’identità dunque difensiva, dove la logica pare essere: “O sei sempre più forte o vieni spazzato via”. E la trasformazione avviene prevalen- temente attraverso atti magici, spesso provenienti da potenze esterne, più raramente frutto di un percorso maturativo o di crescita in cui si attinge da qualità interiori.

Il nuovo immaginario è inoltre più spesso percorso ad un’angoscia latente, dove l’e- lemento misterioso, inquietante, pericoloso è costantemente presente come un tappeto ed incombente, e la circolarità delle vicende, dove non si giunge mai ad una soluzione definitiva, rimanda un forte senso di instabilità e precarietà. Quando tutto sembra finito, tutto ricomincia, ben lontani dal lupo che viene eliminato una volta per tutte.

I nuovi personaggi fantastici, che sommano senza fine corazze ed evoluzioni, riman- dano più ad un vissuto profondo di estrema impotenza da cui si sviluppano sovra- compensazioni onnipotenti che ad un fisiologico processo di crescita, in quella sana dinamica tra sentimento di inferiorità ed aspirazione alla superiorità.

Nel setting psicoterapeutico, questi personaggi e questi scenari, ormai si presenta- no con grande frequenza ed intensità; essi corrispondono a vissuti, immagini di sé e modalità relazionali che i bambini sviluppano oggi e che troviamo più accentuati nei soggetti con difficoltà sul piano emotivo e relazionale. La definizione dell’identità personale si gioca più sul piano narcisistico e persecutorio del potere e della difesa dalla minaccia esterna che sul piano della differenziazione/consapevolezza interna e riconoscimento/adattamento al mondo esterno.

All’interno dei vari aspetti che concorrono nel sostanziare un percorso psicoterapeu- tico infantile, il lavoro attraverso l’immaginario va condotto tenendo conto di tali si- gnificative modificazioni. Osserviamo che è necessario oggi “aiutare” di più i bambini nel gioco ad uscire da personaggi e sequenze stereotipate e ripetitive basate su azioni distruttive o scontri tra super-poteri, per portarli ad un ampliamento dello scenario, ad una maggiore differenziazione delle parti rappresentate ed all’elaborazione di diverse strategie evolutive.

È necessaria cioè un’azione di contenimento non solo rispetto agli agiti che spesso il bambino propone, ma anche rispetto ad un simbolico tendenzialmente indifferenziato e caotico o stereotipato-ripetitivo che necessita di essere differenziato, elaborato, svi- luppato, organizzato.

È il caso di Giulio che interpreta per diverse sedute il ruolo di SuperG, eroe con su- perpoteri, non definibile come positivo o negativo. Egli distrugge a ripetizione i suoi nemici interpretati da me. La sequenza si ripete sempre uguale, si esaurisce in poco

tempo ed è accompagnata da espressioni mimiche e gestuali cariche di aggressività. Giulio mi invita ad usare armi sempre più potenti e distruttive, ma allo stesso tempo lui subisce una serie di evoluzioni che lo portano a possedere scudi e corazze impene- trabili ed armi d’attacco ancora più potenti.

Gradualmente inserisco delle variazioni per cambiare questo assetto iniziale: diversi- fico le mie reazioni ai suoi attacchi, esprimendo e verbalizzando le emozioni quali la paura, la rabbia, la tristezza diversamente modulate; inserisco elementi scenografici e un’organizzazione via via più definita delle coordinate spazio-temporali; elaboro strategie sempre più articolate per sventare gli attacchi del nemico; introduco nuo- vi personaggi che non combattono soltanto, ma riescono ad interagire diversamente (ad esempio si avventurano alla scoperta di un’isola sconosciuta). Tutti questi cam-biamenti, permettono a Giulio di differenziare sempre meglio i contenuti del mondo interno, verificare differenti modalità di espressione e di relazione in un clima di si- curezza che consente di uscire dalla ripetizione difensiva degli agiti distruttivi e delle corazze impenetrabili.

Attraverso queste azioni terapeutiche vengono promossi significativi cambiamenti nel funzionamento mentale del bambino: il passaggio dall’agito o dall’ipercompen- sazione onnipotente alla possibilità di entrare in contatto con le parti fragili di sé, l’imparare a tollerarle emotivamente e poter individuare risorse interne ed esterne per affrontare le difficoltà e le paure. È il passaggio dall’illusione dell’onnipotenza all’azione coraggiosa, dal dualismo impotenza/onnipotenza al processo inferiorità/ compensazione.

Come accade a Paolo, che parte dall’interpretazione di un ladro-assassino che deruba ed uccide chiunque incontri, dotato di armi ultra-potenti e di giubbotti antiproiettile impenetrabili. Dopo qualche tempo, arriva a chiedermi uno scambio di ruoli: vuole in- terpretare la polizia. In questa fase si gioca tutta l’angoscia di un’aggressività distrutti- va priva di contenimento e di repressioni severissime da parte del controllore esterno. Nel periodo seguente (attraverso il giocarsi tali situazioni ed introducendo varianti), arriveremo ad azioni via via più moderate, dove è possibile, ad esempio, scontare una pena e provare, successivamente, altre modalità di comportamento meno aggressive.

La possibilità di riparazione e di espressione differenziata di sé (non è solo il ladro assassino, ma può essere diversi personaggi e quindi possiede dentro di sé aspetti diversi) consente a Paolo e a me di aprire verso nuovi scenari che portano il ladro- assassino a fare diverse esperienze, perdendo gradualmente l’identità iniziale per as- sumere quella di soldato, giudice, infermiere, fino a diventare finalmente bambino. Il gioco simbolico si sposta a questo punto all’interno di una famiglia inventata, at- traverso cui Paolo trova un ottimo canale di rappresentazione delle dinamiche della sua famiglia reale, esprimendo i suoi vissuti ambivalenti e trovando di volta in volta possibili evoluzioni delle situazioni critiche, attraverso l’elaborazione dei conflitti e

delle dinamiche di inferiorità/superiorità.
Come è evidente nel caso riportato, in molte situazioni, il lavoro psicoterapeutico sul sentimento di inferiorità, le compensazioni e la loro armonizzazione con il sentimento sociale, rappresenta uno step più avanzato a cui il bambino accede solo dopo aver raggiunto un livello di funzionamento psichico più maturo.

Per concludere, possiamo affermare che, come per la terapia con l’adulto è necessa- rio conoscere il contesto culturale nel quale si muove e da cui è influenzato a livello consapevole ed inconsapevole, in egual modo il terapeuta infantile deve conoscere ed immergersi nei nuovi scenari dell’immaginario infantile, che questi bambini portano in seduta e da essi è necessario partire per consentire, attraverso l’azione terapeutica, quei passaggi evolutivi che conducano, da un’illusoria posizione onnipotente, ad un coraggioso agire nella realtà.


Gian Sandro Lerda

Bibliografia

1. ADLER, A. (1930), The Education of Children, tr. it. Psicologia dell’educazione, Newton Compton, Roma 1975.
2. BASTIANINI, A. M. (2011), Psicoterapia infantile: una prospettiva di sviluppo per la pratica clinica adleriana, Il Sagittario, 28: 33-44.
3. BAUMAN, Z. (2003), Liquid Love. On the frailty of human bonds, tr. it. Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Bari 2006.
4. CHARMET, G. P. (2000), I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida, Raffaello Cortina, Milano.
5. DI SUMMA, F. (2013), Essere protagonisti nella costruzione del benessere: famiglia e scuola in sinergia, in GRANDI, L. G., LERDA, G. S., Per i nostri figli, Percorsi, Cuneo. 6. GRANDI, L. G. (2002), Viaggio nell’uomo, Ideanet, Torino.
7. GRANDI, L. G. (2016), Amore e Psyche, Effatà, Torino.
8. GRANDI, L. G., LERDA, G. S. (2013), Per i nostri figli, Percorsi, Cuneo.
9. LERDA, G. S. (2007), C’era una volta…Storie e fiabe, strumenti di lavoro nella psicoterapia infantile, Il Sagittario, 20: 69-85.
10. LERDA, G. S., LO SAPIO, V. (2014), The precariousness of relationships during the age of the digital native, Aloma. Revista de Psicologia, Ciencies de l’Educaciò i de l’Esport, 32 (2): 77-83.
11. RECALCATI, M. (2012), Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina, Milano.
12. ROVERA, G. G. (2015), Lo stile terapeutico, Riv. Psicol. Indiv., 78: 19-45.

La strada luminosa e tortuosa della psicoterapia

La strada luminosa e tortuosa della psicoterapia BLAST

Lino G. Grandi

Lo stile di vita, le aspettative, la progettualità, la preparazione ad affrontare le complessità della vita, sono tutt’altra cosa rispetto all’originaria, pur se datata, scelta di vita di porsi al servizio dei sofferenti, nell’anima e nel corpo. 

Acquisita quella che ritengo, con umiltà, una certa qual professionalità, mi sono assunto l’impegno di formare gli aspiranti psicoterapeuti e, contemporaneamente, ho proseguito il servizio ai sofferenti di disturbi o di disagi psicologici; ho considerato – forse a torto – di poter essere ancora propositivo, creativo, capace di immergermi nei meandri più oscuri della psiche umana; devo al contempo coscientizzare che gli anni trascorrono e che non è lontano il momento fatidico vuoi dell’abbandono dell’amata professione, vuoi della vita.

Qualora le difese consce ed inconsce mi distraessero dal principio di realtà, allievi e pazienti, sollecitati sin dall’inizio dei nostri incontri, a rivelare i sentimenti, i pensieri, i sogni, gli accadimenti, le emozioni, altro …, avvertono l’esigenza di condividere e di comunicare la realtà del trascorrere del tempo.

Spesso, persone cui è stato suggerito il mio nome (o che intendono segnalarlo), incontrandomi in studio mi domandano: “Completa i casi che sta trattando e ne prende ancora di nuovi?”.

Fanno capolino, con una certa frequenza, nei cultori della psicoterapia, fantasie inconsce di onnipotenza; pur nella consapevolezza del trascorrere del tempo e delle probabili, spesso inevitabili, conseguenze, operano -dette fantasie- subdolamente, inducendo modalità esistenziali di “negazione” vuoi del più che probabile degrado fisico e spesso psichico, vuoi della inevitabilità della morte; forse non lo ammetteremmo mai, ma nel profondo vi è una tendenza a credere di essere speciali, di essere esentati da quell’involuzione che diamo per scontata allorché riguarda gli altri.

A livello conscio, l’evidenza delle ferite del trascorrere del tempo, dalla riduzione della vita alle difficoltà digestive, cardiache, di respirazione, di deambulazione ed altro, non trascurando il presentarsi di vere e proprie malattie, anche ad esito infausto, l’evidenza, dicevo, è fuori discussione, è inevitabile.

Nel profondo si agita una domanda “perché io?”; e si rileva quanto sia scarsamente avvertito che si è prossimi a precipitare nel ridicolo. È come se, mi rifaccio alla mitologia, una ninfa ci avesse immerso nella fonte della salute sempreterna; le fantasie che i limiti riguardano esclusivamente gli altri, ci pervadono; solo il richiamo al principio di realtà che, pur con qualche timore, viene introdotto dai pazienti, di necessità ci riporta alla opportuna e prudente consapevolezza.

Col progredire degli anni, le mete, gli interessi, le ambizioni, tanti aspetti della nostra esistenzialità, necessitano di essere riconsiderati: nella formazione di coloro che avvertono interesse per il servizio di psicoterapeuta, la preparazione alla gestione del trascorrere del tempo deve condurre all’esercizio di quella fase “post-narcisistica” nella quale deve essere presente la presa di coscienza della necessità di spostare l’ottica dell’espansione di sé verso la cura e la promozione di quell’umanità che proseguirà il proprio cammino, anche dopo che avremo concluso il nostro ciclo di vita. Lo sguardo deve essere rivolto alle generazioni a venire. L’obiettivo è il riuscire a trasmettere ciò che la vita ci ha insegnato.

È doveroso inoltre considerare il contesto nel quale si sta attualmente operando. Il campo della psicoterapia sta attraversando, da qualche tempo, un periodo di crisi. Offrire pertanto guida ed ispirazione può apparire avulso dalla realtà.

I segnali che provengono dal Servizio Sanitario e da una cultura depauperata pervengono e sono guidati dai principi dell’economia; ne consegue l’esigenza di una radicale modifica della cura psicologica, un adeguamento verso un’ottimizzazione del tempo e dei costi. I requisiti richiesti dalla realtà attuale richiamano in particolare la brevità e sembrano ignorare l’inevitabilità di un precipitare in tal modo nel superficiale e nell’inconsistente.

La preparazione e la professionalità della prossima generazione di efficienti psicoterapeuti, richiede – anche eticamente- di essere perseguita. Quali metodologie possono e debbono essere reperite per proseguire nell’opera di servizio alla salute, che è la nostra missione?

Si deve inoltre considerare che il trattamento più adeguato, cioè la psicoterapia psicodinamica, nel contesto storico attuale, sembra destinato all’estinzione, od al più ad una nicchia di umanità che intende promuovere non tamponi per gli eventuali disturbi e/o disagi, bensì un sano e duraturo benessere.

D’altronde, si deve assumere che i programmi di formazione in psicologia clinica, più che della effettiva validità ed utilità, si avviano a subire passivamente, senza reattività alcuna, le pressioni del mercato: ne consegue un insegnamento di metodologie terapeutiche maggiormente, quando non esclusivamente, orientate sui sintomi, possibilmente di breve durata e pertanto passibili di rimborso dalle organizzazioni che prevedono forme assicurative.

Condivido una perplessità: come non essere preoccupati nei riguardi di una psicoterapia deformata dalle pressioni economiche e conseguentemente impoverita da programmi di formazione radicalmente abbreviati?

Probabilmente in futuro, constatando i danni che inevitabilmente verranno provocati, si proporrà uno stuolo di psicoterapeuti (provenienti da discipline diverse -ad esempio dalla psicologia, alla sociologia, alla filosofia clinica) – che vorrà perseguire una rigorosa formazione post-laurea e prescindendo dall’HMO -Organizzazione per la manutenzione della salute- si incontrerà con pazienti desiderosi di crescita umana e di cambiamento, e quindi disposti ad un adeguato ed utile impegno, senza porre limiti castranti e depauperanti della terapia.

Mi auguro non si tratti solo di una speranza; l’umanità non può desistere dal migliorarsi e dalla ricerca del benessere.

Devo condividere che sono rattristato per come la psicoterapia possa aver subito la devastazione indotta dalle pressioni economiche e di conseguenza impoverita da programmi che al più sono di addestramento, non certo di formazione, programmi dicevo “radicalmente abbreviati”.

Da tempo opero con gli allievi per una psicoterapia non settaria, bensì integrata e suggerisco di conseguenza un pluralismo terapeutico, un sano e proficuo eclettismo, purché intelligentemente armonizzato, che possa avvalersi di aspetti probanti tratti anche da differenti approcci terapeutici. La cornice di riferimento ha da essere comunque interpersonale ed esistenziale.

La mia immersione nella piscina della psicologia clinica, è stata promossa da due sollecitazioni nonché stimolazioni troppo spesso affrontate approssimativamente; l’analisi del profondo (psicoterapia psicodinamica) e il lavoro psicologico di gruppo (attualmente proposto come socioanalisi di gruppo). Richiedono professionalità parallele e non sovrapponibili. È evidente la differenziazione dei due approcci: da un lato il nucleo operativo prevede una relazione uno a uno (dove semiologicamente è previsto il porsi dell’uno di fronte all’altro, secondo il dettato della Individual-psicologia comparata); dall’altro l’ambiente in cui si opera, per lo più composto da un trainer, un co-trainer ed otto o nove partecipanti. La socio-analisi ha una cornice di riferimento interpersonale e spesso si assiste al dilagare della sofferenza dovuta anche all’incapacità di sviluppare e sostenere rapporti personali gratificanti.

Spesso, nell’incontro terapeutico, si osserva che i pazienti sprofondano nella sofferenza, allorché si confrontano con aspetti crudeli della condizione umana; per chiarire: quando coscientizzano gli aspetti fenomenici dell’esistenza.

L’Individual Psicologia comparata propone un approccio terapeutico dinamico che si confronta con le problematiche che connotano l’esistenza stessa.

Per “approccio dinamico” ci si deve rifare al pensiero ellenico: dynasthai significa “avere potenza e forza” ed implica una caratteristica essenziale per un terapeuta: grazie ad un lavoro di “rinforzo dell’io” presentare vigore e vitalità; ne deriva il dover consapevolizzare l’inadeguatezza di terapeuti che propongono modalità relazionali che possano apparire come poco vitali, tendenzialmente passive, scarsamente propositive.

Certo che se le suddette sono, almeno in parte cospicua, nostre caratteristiche, dovremmo lavorarci su con impegno e perseguire per intanto un nostro processo di crescita.

Freud ricorreva al termine “dinamico”, mantenendo ovviamente il presupposto della “forza”, riferendosi però ad un modello di funzionamento della mente, laddove le forze in conflitto nell’area dell’intrapsichico, sono poi le stesse che generano il pensiero, i comportamenti, le emozioni, quel coacervo cioè di aspetti che si interrelazionano e spesso sprofondano ingolfate in disarmonie.

Le suddette forze si pongono in conflitto od in relazione operando in parte a livello cosciente; spesso però operano nell’ambito dell’inconsapevole, in quell’area definita dalla psicoanalisi “inconscio”.

La psicoterapia psicodinamica, nei confronti del conflitto interiore (quando riconosciuto) che devasta il nostro benessere, non si limita all’assunto freudiano di lotta con i desideri istintivi repressi, o con quanto si è introiettato  nel processo di crescita dalle figure significative che ci hanno accompagnato, né, come si presupponeva decenni or sono, con frammenti di ricordi traumatici rimossi, ma considera significativi e fondamentali quegli aspetti che impattano con noi nel corso dell’esistenza.

Non mi soffermo sulle difficoltà che ognuno incontra nel quotidiano. Nel corso di supervisioni con colleghi considerati “capaci”, spesso ho indagato se vengono affrontate questioni esistenziali di assoluta pregnanza: ne cito alcune: “la morte, la solitudine, il significato della vita, la libertà, l’immaginario sessuale, la posizione rispetto la religione, il sentimento sociale e di cooperazione, la gratitudine ecc.”

L’obiettivo di una guida non è quello di costruire percorsi psicodinamici alternativi, bensì quello di far dialogare il terapeuta con le forze inconsce che influenzano -ben lo sappiamo- il comportamento cosciente.

Ma qual è la natura delle forze interne in conflitto? Dobbiamo consapevolizzare che il disagio intrapsichico non origina solo, come affermava la vetero-psicoanalisi, dalla lotta con i desideri istintivi repressi, o per l’influenza dei cosiddetti “significativi” (le figure che abbiamo introiettato nell’infanzia e nella prima adolescenza) oppure – secondo quanto sottolineato dai primi maestri di psicoanalisi – da frammenti di ricordi traumatici rimossi; è doveroso, per l’odierno psicologo clinico, il confronto con i “dati di fatto” dell’esistenza.

In un procedere psicoterapeutico, si debbono considerare sia il contenuto, sia le modalità che connotano il “processo”. Il contenuto non necessita di spiegazioni: la lingua italiana al riguardo è chiara. Più complesso e meritevole di riflessioni è il processo. Fra l’altro implica -e fa tremar le vene ai polsi- la relazione personale tra il paziente e il terapeuta. 

Si tratta di un’interazione che comprende il verbale ed il “non verbale, che richiede la necessità di una decodifica finalizzata alla comprensione della natura del rapporto tra le parti coinvolte nell’interazione.

Va detto che una psicoterapia psicodinamica, fermo restando l’approfondita conoscenza della teoria di riferimento e delle modalità tecniche, non dovrebbe essere condotta “a prescindere”, bensì guidata dalla costruttiva immersione e decodifica della relazione. Nell’ambito della relazione, acquisiscono pregnanza i problemi esistenziali che a loro volta influenzano significativamente la natura della relazione stessa, sia in generale che nella specifica seduta, tra il terapeuta ed il paziente.

La formazione di uno psicoterapeuta postula da parte del Maestro la propensione a fornire suggerimenti, tratti dagli studi, dalle ricerche, nonché dalla sua esperienza.

Non sotto forma di lezione, pur essendo necessaria ed importante, ma, acquisite le basi, la frequentazione di compagni di viaggio che vogliano condividere le loro esperienze, mettendosi in discussione, confrontandosi dinamicamente con i colleghi, praticamente “frequentando una “bottega”, nell’accezione rinascimentale del termine. Si potrà così riconsegnare alla psicoterapia la dignità che le appartiene ed ai desiderosi di migliorare la qualità della loro vita, un servizio idoneo e promozionale. 

L’auspicio è un futuro migliore per noi tutti.

La stanza virtuale della terapia in età evolutiva.Esperienze e riflessioni sulla psicoterapia dell’infanzia ai tempi del COVID-19: contesto, setting, strumenti, immaginario e creatività.

La stanza virtuale della terapia in età evolutiva.Esperienze e riflessioni sulla psicoterapia dell’infanzia ai tempi del COVID-19: contesto, setting, strumenti, immaginario e creatività. BLAST
GIAN SANDRO LERDA, VERONICA LO SAPIO, FRANCESCA DOGLIANI

Summary – THE VIRTUAL ROOM OF THERAPY IN DEVELOPMENTAL AGE. EXPERIENCES AND REFLECTIONS ON CHILD PSYCHOTHERAPY AT THE TIME OF COVID-19: CONTEXT, SETTING, TOOLS, IMAGERY AND CREATIVITY. The age we are living in, with its own particular challenges, may seem like a time of bewilderment: SARS-Cov-2 Pandemic is changing our lives and also our way of working. Lockdown experience got us to face new challenges not only in our personal and family life, but also in our psychotherapy work. During this period, PC use and virtual meeting with our young patients have increased. It is a new method to stay with them that arouses a lot of questions. In this work we present some reflections about what children have experienced during the lockdown and what the impact it may have. Individual Psychology cannot but start from the analysis of the situation in which we are. So, in the first part of the article, we analyze some scientific studies about psychological impact of lockdown on children and the effectiveness of online therapy with them. There are a lot of questions about this. How can I work with children imaginary through a screen? Is it possible? What kind of tools can I use to do this? In the second part of the article, we report the experience we share as a Child Therapy team in the Institute of Individual Psychology “A. Adler”. We think that, as Individual Psychotherapists, we have to use our creative- Self to find innovative ways. We have tried to explain our work through some examples of individual therapy and also of group therapy.

Keywords: PSICOTERAPIA INFANTILE – COVID – ONLINE

I. Introduzione

La Psicologia Individuale considera la vita dell’individuo come un’unità inserita nel contesto delle sue relazioni sociali [7]: lo psicoterapeuta ad indirizzo Individual-psicologico non può prescindere dal collocare la persona che incontra nel suo ambiente di vita e nel contesto socio-culturale allargato di appartenenza [1], considerando attentamente le rapide evoluzioni costantemente in atto [24]. Oggi più che mai, in questo tempo eccezionale di pandemia, non possiamo esimerci, nell’esercizio della nostra pratica clinica, dall’osservare e dal riflettere su ciò che sta accadendo nel mondo. Stiamo vivendo un momento storico significativo: un’emergenza sanitaria, economica, sociale ed educativa senza precedenti che sta incidendo profondamente sulle nostre vite. Sul piano psicologico, ai vissuti di paura, ansia o angoscia provocati dalla minaccia alla salute che il virus SARS-CoV-2 rappresenta a livello planetario, si aggiungono le esperienze dei lockdown, variamente messi in atto in molti Paesi: le più o meno significative restrizioni alla vita delle persone poste in essere hanno costituito un momento di assoluta novità, generatore di inquietudini e di obbligate trasformazioni degli stili di vita, alcune delle quali potrebbero rivelarsi non così transitorie [14, 29].

Risulta fondamentale per lo psicoterapeuta cogliere e comprendere i processi di cambiamento in corso, anche attingendo agli studi e alle ricerche che si stanno sviluppando in vari ambiti –

psicologico, sociale, economico, giuridico – poiché costituiscono i sistemi di riferimento alla luce dei quali acquisiscono significato i comportamenti e i vissuti che i pazienti portano in seduta [22].
Allo stesso tempo tali cambiamenti impongono un aggiornamento degli strumenti professionali e delle modalità di lavoro degli psicologi clinici, che si sono dovuti adattare temporaneamente a forme alternative di psicoterapia a distanza [12], ma che ora si interrogano su quanto questa opzione possa diventare una delle possibilità di intervento, anche usciti dalla fase di emergenza, in linea con esperienze e studi già sviluppati in precedenza sulla psicoterapia online [5, 37, 38, 42].

Anche gli autori del presente articolo, psicoterapeuti e analisti dell’età evolutiva, si sono trovati nei mesi compresi tra marzo e maggio 2020 a ricorrere in maniera pressoché totale alla psicoterapia online con i loro piccoli pazienti, sviluppando una serie di esperienze e di riflessioni che hanno sentito la necessità di confrontare con le recentissime ricerche che in tutto il mondo stanno fiorendo [10, 13]. Se lo svolgere in modo esclusivo le sedute on line è notevolmente diminuito a partire dalle progressive riaperture, il tema della psicoterapia attraverso il web ha continuato a interrogarci anche oltre quei mesi passati forzatamente sulla rete e non solo sulla differenza tra il dialogo attraverso uno schermo e quello vis a vis. In particolare, quanto esperito in questo periodo ci ha portati a riflessioni più ampie sul setting, sugli obiettivi e sugli strumenti applicabili in tale ambito e tuttora ci pone questioni sull’uso della tecnologia e sulla dimensione del virtuale nella terapia con i bambini. Di fatto, sia il lavoro clinico, sia le esperienze di progetti in diverse scuole inerenti aspetti legati all’utilizzo del digitale da parte dei bambini e degli adolescenti (32), già da tempo ci interrogano su quanto la relazione con i soggetti più giovani possa passare anche attraverso la mediazione di strumenti e materiali tecnologici, che in certe situazioni addirittura favoriscono l’interazione e lo scambio emotivo all’interno della coppia terapeutica. Accanto ai tradizionali oggetti mediatori, sempre più spesso nelle stanze di terapia dell’età evolutiva fa la sua comparsa il computer con una connessione ad internet e tutto ciò che ne consegue (33). Anche in occasione del 27o Congresso Internazionale IAIP di Minneapolis (2017) tale argomento è stato oggetto di confronto nel Panel della Sezione Child and Youth Therapy, su stimolo dei relatori G.S. Lerda, M. Bluvshtein e A. Schedl.

Nella terapia online la stessa stanza di terapia diventa una stanza virtuale e gli strumenti di lavoro come il gioco e il disegno possono svilupparsi su supporto digitale o attraverso la mediazione tecnologica: questo apre alle sperimentazioni e alle riflessioni oggetto del presente articolo.

II. Obiettivi

Il presente lavoro prende le mosse da alcuni studi e ricerche che la comunità scientifica nazionale e internazionale sta producendo in questo periodo, sia per quanto riguarda l’impatto del Covid-19 sulla vita dei bambini e sui loro vissuti, da cui originano malesseri e disagi anche significativi che entrano nella stanza di terapia (paragrafo III), sia rispetto alle trasformazioni della stessa stanza di psicoterapia con il passaggio alle forme online di trattamento, reso necessarie dalla situazione di emergenza sanitaria, ma divenuto occasione di riflessioni più ampie (paragrafo IV).

Nel paragrafo V verranno presentare alcune esperienze cliniche raccolte e confrontate in questo periodo dal gruppo degli psicoterapeuti e degli analisti dell’infanzia dell’I.P.I. “A. Adler”, e si evidenzieranno le modalità adottate per proseguire non solo le psicoterapie individuali, ma anche i percorsi di gruppo con i bambini avviati precedentemente in presenza.

Due sono gli aspetti su cui ci siamo maggiormente interrogati. Il primo riguarda il setting: quanto e come si è modificato nel passaggio alla psicoterapia online? Tali modifiche quanto incidono sulla relazione terapeutica? Quali resistenze del terapeuta nel ristrutturare la seduta con le modalità online? Il secondo aspetto riguarda invece i contenuti della seduta. Se la modalità online ha permesso di mantenere un contatto con il piccolo paziente, rassicurandolo circa la continuità della relazione con il terapeuta in un momento in cui tutte le relazioni con l’esterno erano sospese, è stato ed è possibile

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attraverso uno schermo entrare in contatto con i vissuti più profondi del bambino e avviare o continuare il lavoro sul suo mondo interno? Come avere accesso ad esso quando la relazione è mediata da un computer e i corpi non si incontrano fisicamente? Attraverso quali strumenti e quali tecniche? Quanto il terapeuta è disposto e pronto a mettere in campo il suo Sé creativo per rendere efficace uno strumento che probabilmente sempre più dovrà entrare nelle nostre abitudini lavorative?

Nel paragrafo conclusivo (VI) si proporrà una sintesi delle prime riflessioni formulate su questi temi e confrontate con la letteratura presa in considerazione, riflessioni che andranno senza dubbio riviste e ampliate in seguito ad ulteriori sperimentazioni e confronti, trattandosi di aspetti innovativi e in rapida evoluzione.

III. Cosa è successo ai bambini durante il COVID?

Da un punto di vista medico, la pandemia ha fortunatamente interessato in misura minore la popolazione italiana al di sotto dei 15 anni di età. Come si legge sul sito del Ministero della Salute: “

Le evidenze scientifiche disponibili – chiarisce l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – indicano che nei

pazienti pediatrici l’infezione causata da SARS-CoV-2 si manifesta con un

rispetto all’adulto. I bambini hanno infatti una letalità decisamente inferiore rispetto agli

adulti, che si aggira intorno allo 0,06% nella fascia di età 0-15 anni. Finora, i dati pubblicati

dell’ISS riportano 4 decessi sotto i 9 anni e nessuno tra i 10 e i 19 anni. I sintomi di

Covid-19 nei più piccoli sono spesso assenti o lievi, tuttavia l’infezione in alcuni casi può comportare lo sviluppo di complicanze o forme cliniche peculiari. Ecco perché va comunque posta molta attenzione quando i bambini manifestano i sintomi dell’infezione, soprattutto se con meno di un anno

di età e in presenza di condizioni patologiche preesistenti.” [36]

favorevole nel bollettino

andamento clinico più

Tuttavia, a fronte di un debole impatto sulla salute fisica, diverse sono le conseguenze psicologiche sui bambini e sugli adolescenti della situazione che stiamo vivendo, in particolare in relazione alle esperienze di lockdown. Sempre sul sito del Ministero si legge: “L’isolamento a casa durante l’emergenza da nuovo coronavirus ha causato l’insorgenza di problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore

di 6 anni (fino a 18). È quanto emerge da un’

indagine

sull’impatto psicologico e comportamentale

nei bambini e negli adolescenti in Italia, condotta dall’Ospedale pediatrico Gaslini di

del lockdown

Genova”. [36]

L’Ospedale Gaslini ha attivato, fin dall’inizio dell’emergenza, un’indagine scientifica per monitorare l’impatto della pandemia sullo stato psicologico di bambini e famiglie. Si legge nel resoconto: “I sintomi post Covid che emergono maggiormente riguardano: disturbi di somatizzazione, disturbo post traumatico da stress e disturbi dell’adattamento. Per quel che riguarda i bambini al di sotto dei sei anni i disturbi più frequenti sono stati l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e disturbi d’ansia (inquietudine, ansia da separazione). Invece nella fascia d’età 6-18 aa. i disturbi più frequenti riguardano la “componente somatica” (disturbi d’ansia e somatoformi come la sensazione di mancanza d’aria) e i disturbi del sonno (difficoltà di addormentamento, difficoltà di risveglio per iniziare le lezioni per via telematica a casa). In particolare, in questa popolazione si osserva una significativa alterazione del ritmo del sonno con tendenza al “ritardo di fase” (adolescenti che vanno a letto molto più tardi e non riescono a svegliarsi al mattino), come in una sorta di “jet lag” domestico. In questa popolazione di più grandi è stata inoltre riscontrata una aumentata instabilità emotiva con irritabilità e cambiamenti del tono dell’umore” (43).

Nella stessa ricerca viene evidenziato come il livello di gravità dei sintomi e dei comportamenti disfunzionali correli statisticamente con il grado di malessere espresso dai genitori in relazione alla

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pandemia e come questo dato risulti, invece, statisticamente indipendente dalla pregressa presenza di disturbi nella sfera psichica dei genitori.

Diversi studi evidenziano come la condizione di stress psicofisico a cui i bambini sono stati sottoposti nella primavera 2020 a causa del lockdown, abbia avuto ripercussioni fisiche e psicologiche significative, che si sono sommate alle reazioni emotive legate alla paura del contagio [15, 17, 39, 40].

In un’indagine pubblicata nel 2013 [41] sulle reazioni psichiche dei bambini e delle famiglie ai fenomeni pandemici, in seguito al contagio da SARS negli USA, si evidenziava come il supporto emotivo da parte dei genitori sia il fattore di protezione principale per l’insorgere di sintomi psicopatologici nei bambini durante e dopo le pandemie. In quella ricerca emergeva anche un altro dato importante: nei bambini sottoposti ad isolamento e quarantena il 30% aveva sviluppato sintomatologie legate ad ansia e altri aspetti post traumatici; nei bambini non costretti all’isolamento solo l’1% presentava tali sintomi. Considerando che in questa nuova pandemia da Covid-19 i bambini sottoposti a isolamento in tutto il mondo sono stati 1,5 miliardi (34), immaginiamo le proporzioni del fenomeno e l’entità del malessere psicologico diffusosi tra i minori.

Si può ipotizzare che le conseguenze emotive legate alla paura per la pandemia e gli effetti del lockdown sugli stili di vita e sulla salute psichica dei bambini e degli adolescenti possano protrarsi nel tempo [6], anche perché ad essi si vanno ad aggiungere i vissuti relativi al periodo che possiamo definire della “ripartenza”, dove i bambini hanno ripreso le precedenti attività – vuoi scolastiche, vuoi sportive o aggregative – ma con modalità del tutto nuove, che hanno richiesto un notevole adattamento [11]. Nel momento in cui stiamo scrivendo inoltre, con l’arrivo della seconda ondata, si sta rendendo necessario un ulteriore riadattamento, con pesanti incertezze rispetto alle prospettive future.

Tuttavia dobbiamo anche considerare che, in tale quadro di instabilità e precarietà, notevoli sono le capacità di adattamento e di resilienza che è stato possibile osservare fin dall’età della prima infanzia [16, 20, 35]. I mesi di lockdown, inoltre, hanno permesso ad alcuni bambini di recuperare pezzi mancanti di esperienza: giornate condivise con entrambi i genitori, ritmi tranquilli e poco frenetici cui erano avvezzi solo in vacanza. Nella fase iniziale molti bambini hanno vissuto serenamente nelle loro quattro mura, godendo dell’eccezionalità della situazione familiare. A lungo andare però, lo stress e le preoccupazioni hanno iniziato a mostrare i loro effetti, spesso prima sugli adulti e poi, come rispecchiamento, anche sui bambini [34]. Inoltre, le famiglie che presentavano già precedentemente un equilibrio precario sono state messe a dura prova dalla situazione generale e dalla convivenza forzata, soprattutto laddove la coppia genitoriale risulta disfunzionale [18].

Considerata l’importanza che ha per l’individuo la sperimentazione armonica nei tre ambiti vitali [3, 4], la mancanza del contesto scuola/lavoro e delle relazioni sociali ha certamente creato, nel lungo termine, un disequilibrio fonte di disagi e manifestazioni di malessere. Se è vero che per un bambino il nido domestico e la relazione con i genitori costituiscono un bisogno primario, è altresì fondamentale, sin dalla prima infanzia, l’esperienza del confronto con gli altri, del socializzare, dello sperimentare se stesso anche fuori della porta di casa. Lo stare insieme con i pari, in aula come in altri ambienti di aggregazione, costituisce uno “spazio potenziale” [44] o spazio di gioco, in cui il bambino condivide sia gli aspetti problematici del suo sviluppo sia le potenzialità evolutive. Il gruppo dei coetanei svolge una funzione di “holding” e favorisce i processi di integrazione intra-individuale e inter-individuale [24], facendo leva sul desiderio di ciascun bambino di crescere e svilupparsi

Se gli adulti e gli anziani sono stati costretti a ridurre drasticamente i contatti con i propri familiari

e amici, vivendo una condizione, seppur cautelativa, di solitudine forzata, i bambini hanno sperimentato un ulteriore, grave depauperamento: quello dei momenti di gioco tra pari, fondamentali

per la costruzione della loro futura personalità [21].

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attraverso i rapporti con gli altri [2]. Il gioco, in particolare quello con i pari, si nutre della quotidianità e rappresenta per il bambino uno spazio e un tempo protetti per fare, divertirsi, esplorare, conoscere, orientare energie, rappresentare umori, sensazioni e affetti, misurarsi con se stesso e con le cose, comunicare, esprimersi, socializzare. Nel gioco il bambino esplora l’ambiente e al contempo il proprio mondo interiore, prendendo confidenza con il proprio personale modo di stare bene o di stare male. Mettendo in scena avvenimenti e situazioni della quotidianità, come in una palestra naturale, in uno spazio intermedio fra il fantastico e il reale, si allena ad incontrarsi con la vita e ad interagire con la realtà [44].

La mancanza di tali esperienze è stata vissuta con fatica dai bambini e le lezioni online, che hanno sostituito l’incontro in classe per il lungo periodo di chiusura delle scuole, hanno mostrato nel tempo i loro limiti, soprattutto sul piano relazionale. Sono venute a mancare o sono state pesantemente penalizzate alcune esperienze fondamentali nel processo di crescita e di costruzione della personalità: il “riconoscimento” e i rispecchiamenti identitari che provengono dall’incontro con le figure esterne alla famiglia, l’amico, il compagno di karate, la maestra, l’allenatore, il compagno di classe [24]. Tanti pezzetti di identità si sono congelati, restando in stand-by: è infatti l’incontro con l’Altro che permette di riconoscere e di definire se stessi [26].

Anche per i bambini seguiti per vari motivi in psicoterapia si è presentata la possibilità di una sospensione dei percorsi psicologici in corso: il lockdown e i rischi di contagio hanno spesso limitato le possibilità di spostamento e hanno posto clinici e famiglie di fronte alla necessità di trovare soluzioni alternative, tra cui la prosecuzione in forma telematica [10].

IV. La psicoterapia online con i bambini: linee guida

Nei percorsi di formazione accademici degli psicologi e degli psicoterapeuti non è prevista normalmente l’acquisizione di competenze specifiche per condurre interventi a distanza, con l’ausilio dei mezzi tecnologici. Inoltre in età evolutiva, in particolar modo per quanto concerne l’infanzia, sono state molto rare e limitate a situazioni particolari (come ad esempio con i bambini con malattie autoimmuni) le esperienze di terapia on line prima dell’emergenza Covid [28].

In attesa di aggiornamenti dei percorsi curriculari e di una maggiore diffusione di formazione dedicata, sono comparsi sulla rete in questi mesi alcuni studi e raccolte di indicazioni per orientare i tanti professionisti che si sono trovati a dover convertire i propri interventi in modalità online, dovendo conciliare la necessità di non abbandonare i propri pazienti interrompendo i percorsi avviati, con l’imperativo etico di possedere le competenze necessarie per svolgere adeguatamente il proprio lavoro.

In particolare, per quanto concerne gli interventi di psicoterapia in età evolutiva, l’Association of Child Psychotherapists ha diffuso un documento di sintesi contenente alcune linee guida per il lavoro in remoto con bambini, adolescenti e famiglie [8].
Secondo gli autori del documento per avviare una psicoterapia online è necessario prestare attenzione ad alcuni aspetti: l’idoneità del bambino e della famiglia per un lavoro a distanza; il livello di competenza del terapeuta; l’adeguatezza della tecnologia; il livello di rischio; la capacità della rete attorno al bambino di funzionare a distanza; la capacità della supervisione di supportare adeguatamente il lavoro clinico.

Non per tutti i bambini è indicato il passaggio alla psicoterapia online e non tutti i terapeuti sono adatti a questa forma di lavoro. I fattori su cui riflettere sono:

• I genitori sostengono l’idea della psicoterapia da remoto? Hanno la capacità di capire il bisogno di riservatezza del proprio figlio e sono in grado di garantire uno spazio adeguato?

  • È necessario prendere in considerazione l’età dei pazienti, la natura delle loro difficoltà e la loro capacità di utilizzare correttamente una piattaforma online.
  • Alcuni bambini e ragazzi si siedono e parlano, mentre altri giocano e si muovono molto. Per ogni bambino deve essere valutata la fattibilità e la possibilità di gestire il lavoro a distanza.
  • Il giovane paziente è già stato visto in modalità faccia a faccia e ha già costruito un’alleanza di lavoro con il terapeuta? Una terapia già avviata da tempo può spostarsi più facilmente nella modalità online, rispetto ad un percorso appena avviato.
  • È bene valutare attentamente il livello di rischio prima di avviare una terapia online, soprattutto per quanto concerne possibili agiti.
  • Considerare anche l’eventualità che il giovane paziente utilizzi scorrettamente la modalità online (ad esempio registri i contenuti delle sedute e diffonda su internet).
  • Se il lavoro a distanza con il bambino o l’adolescente risultasse controindicato in base ai criteri sopra evidenziati, potrebbe essere opportuno offrire un’alternativa provvisoria di intervento, come ad esempio un percorso di sostegno genitoriale o sedute di terapia con il bambino in presenza dei genitori.
  • Il terapeuta dovrebbe sentirti sufficientemente competente nell’uso della piattaforma scelta per le sedute online e disporre di una buona connessione. Dovrebbe inoltre usufruire di una supervisione regolare: adattare il proprio lavoro ad una nuova modalità potrebbe inizialmente richiedere anche una supervisione più frequente.
  • Particolare attenzione va posta al rapporto con i genitori e allo stabilire con loro una stretta collaborazione. È consigliabile incontrare preliminarmente i genitori prima di iniziare un percorso online con un minore, per impostare alcuni basilari parametri di lavoro: garantire uno spazio e un tempo sicuri e riservati per le sedute del bambino, configurare il PC e verificare la connessione prima degli incontri, stabilire le modalità di avvio e chiusura delle sedute, prevedere una possibilità di contatto nel caso la connessione si interrompesse o il bambino chiudesse la comunicazione o manifestasse particolari turbamenti, preparare il materiale ludico o di altro tipo necessario per lo svolgimento delle sedute, stabilire la frequenza degli incontri.
  • Da considerare infine alcuni aspetti tecnici, come l’inquadratura per consentire al meglio la trasmissione della comunicazione non verbale, l’illuminazione, lo sfondo, la velocità dell’eloquio, la modulazione della voce, la gestione del silenzio, delle interruzioni volontarie della connessione da parte del paziente o dei comportamenti disregolati o iperattivi che possono richiedere anche l’intervento straordinario del genitore.
  • Oltre alle indicazioni e alle linee guida relative alla costruzione del setting online e alla rimodulazione del contratto e della relazione terapeutica, al momento si trovano ancora pochi contributi significativi pubblicati ufficialmente sugli strumenti, i materiali e le tecniche applicabili nella terapia attraverso lo schermo con i bambini (per lo più si trovano in rete riflessioni di colleghi su blog o siti). Ciò che emerge è la possibilità di trasferire in modalità online le tecniche utilizzate in presenza con alcuni accorgimenti, così come l’ipotesi di servirsi degli strumenti digitali che la piattaforma condivisa offre. I colleghi che scrivono su tale argomento sostengono l’opportunità di continuare a condividere con il bambino le modalità di gioco precedentemente utilizzate in presenza, servendosi del materiale disponibile in casa del bambino, talvolta concordando prima con il genitore, in base all’età del paziente, la preparazione di ciò che serve in prossimità dello schermo. Dunque bambole, marionette, animali, personaggi vari, supereroi continuano a essere protagonisti dei giochi e delle storie inventate dei bambini, così come materiale da disegno, plastilina, lego per mantenere la possibilità di costruire e rappresentare [19, 23, 28]. Il materiale può essere liberamente scelto dal bambino di volta in volta tra quello disponibile a casa, oppure richiesto dal terapeuta in base alle esigenze del percorso in atto e alle caratteristiche del bambino [19].

Alcuni autori evidenziano come le piattaforme utilizzate possano offrire ulteriori strumenti di lavoro nelle sedute di psicoterapia infantile [23, 27, 28]. La condivisione dello schermo permette di visionare insieme video, immagini, testi che possono diventare materiale e stimoli terapeutici, così come le chat costituiscono una possibilità di comunicare in forma scritta e i programmi di disegno o pittura online possono diventare strumento per trasferire in forma digitale le attività espressive che precedentemente si effettuavano con carta, matite e colori.

Esistono poi una serie di giochi online che possono essere utilizzati alla stregua dei giochi in scatola, giochi di costruzione e giochi di invenzione, con le stesse finalità con cui si utilizzano in presenza attraverso la manipolazione di materiale fisico [27].

Nelle descrizioni di tali adattamenti alla terapia online, spesso gli autori fanno riferimento a trattamenti già avviati in presenza e all’importanza della solidità della relazione terapeutica instaurata, che permette al bambino e al terapeuta di trovare più facilmente una modalità alternativa di interazione per sopperire all’impossibilità temporanea di vedersi di persona [10].

V. Esperienze cliniche

Nel presente paragrafo intendiamo presentare alcune esperienze cliniche e relative riflessioni effettuate dal gruppo degli psicoterapeuti del Dipartimento di Età Evolutiva dell’I.P.I. “A. Adler”, in relazione alle modalità adottate per poter proseguire i percorsi terapeutici con i bambini, sia individuali che di gruppo, nel periodo di lockdown.

A) Io e te attraverso uno schermo: esperienze di psicoterapia individuale online con i bambini.

La psicoterapia infantile, a nostro avviso, trova il suo fondamento nella possibilità di accedere al modo interno del bambino principalmente attraverso il gioco che scaturisce dall’incontro delle menti e dei corpi del terapeuta e del bambino; nel registro dell’immaginario vi è la possibilità di “mettere in scena” e condividere le rappresentazioni e i vissuti del bambino, per dar vita alle necessarie rielaborazioni ed evoluzioni [9, 31].

Alcune domande sorgono con immediatezza: che cosa cambia quando il piccolo paziente non è fisicamente con noi, ma l’interazione avviene attraverso uno schermo? Come colmare il vuoto creato dalla distanza dei corpi, elementi fondamentali nella relazione terapeutica infantile? Come sopperire alla mancanza del contatto e alla diversa percezione delle sfumature del non verbale?

A rendere ulteriormente necessaria la continuazione dei percorsi terapeutici è stata la situazione di emergenza sanitaria, i cui vissuti correlati richiedono di trovare spazi di espressione e di rielaborazione. Come accedervi attraverso il video? Quali strumenti usare?
Come psicoterapeuti di matrice adleriana, ci è parso doveroso attingere al nostro Sé creativo in maniera ancor più significativa di quanto sia già normalmente necessario nel nostro lavoro, non arroccandoci dietro alla teoria della tecnica, ma lasciando che l’idea di poter lavorare efficacemente con i bambini anche attraverso la mediazione dello schermo si facesse spazio dentro di noi. Proveremo a descrivere come ciò sia avvenuto, anche attraverso esemplificazioni tratte da situazioni cliniche.

Un primo punto di esperienza e di riflessione riguarda il setting: esso assume, nell’incontro online, caratteristiche differenti e peculiari. Abbiamo trovato bambini accomodati in salotto sul divano, altri insieme alla mamma alla scrivania dove svolgono i compiti, qualcuno invece in cucina con la famiglia intera riunita per salutarci, altri ancora nella propria camera sul letto. C’è chi comunica attraverso un computer con postazione fissa o quasi, altri invece con uno smartphone o un tablet che si muove con loro, alternando nello schermo il loro viso ora da vicino, poi da lontano, inquadrando la scatola dei giochi, il letto.

Il setting online di una psicoterapia dell’età evolutiva è caratterizzato da notevoli limiti rispetto alle modalità tipiche di una seduta in presenza, limiti che possono tessere nel terapeuta rabbia, senso di impotenza, fastidio, ma anche nuove aperture creative. Il setting classico vede il terapeuta con una buona padronanza dello spazio: una stanza arredata da lui e un’esperienza pregressa che ha permesso al professionista di assistere a un buon numero di trasformazioni del materiale nel gioco. Il terapeuta è il padrone di casa.

Nella seduta online lo spazio non ha un chiaro padrone di casa, è un’area di mezzo che è sia lo studio del terapeuta, sia la casa del paziente, sia qualcosa di diverso. Per entrambi gli interlocutori il setting online è uno spazio da costruire, come si trovassero in una stanza da scoprire, ma anche da arredare. È uno spazio sospeso e potenziale, un’area “terza” la cui esplorazione e co-costruzione richiede capacità simboliche e collaborative.

Si è posto anche il problema di mantenere i confini, la riservatezza e l’esclusività dello spazio privato, garantiti normalmente dalla stanza della terapia: nella seduta online i due protagonisti, paziente e terapeuta, si trovano in due luoghi diversi, rispetto a cui non vi è la stessa possibilità di controllo e protezione da interferenze esterne. Obiettivo iniziale, nel momento del passaggio alla formula telematica, è stato spesso quello di trovare insieme al piccolo paziente il modo per ristabilire la riservatezza anche nell’incontro online. Per questo è stata fondamentale la collaborazione dei genitori, informandoli preliminarmente circa le modalità di svolgimento delle sedute online e le condizioni necessarie per il loro buon svolgimento.

Con i bambini più piccoli questo aspetto non è stato di semplice gestione: per potersi connettere spesso era necessaria la presenza del genitore che talvolta rimaneva nei paraggi per sostenere ed aiutare in caso di eventuali problemi. Questo ha rappresentato inizialmente un limite significativo, affrontato talvolta con il rendere consapevoli i genitori, non preparati a questa modalità terapeutica, dell’importanza della riservatezza, altre volte impostando un lavoro differente con il bambino in presenza dei genitori, quando necessaria. Con il crescere dell’età, nell’incontro con i bambini più grandi e i preadolescenti, è stato spesso opportuno definire chiaramente insieme a loro alcune regole di base del setting: luogo riservato, buona connessione, uno spazio dedicato e ben definito, telecamera accesa con inquadratura sul volto o sullo spazio di gioco, abbigliamento adeguato. È risultato importante concordare e mantenere questi elementi di base per non perdere la significatività dell’incontro e la continuità dell’aggancio relazionale, anche se a distanza.

Se il setting esterno si è modificato, assumendo nuove forme e scenari e necessitando di regole condivise e condizioni ambientali di base, si è comunque sperimentata la centralità del setting interno, cioè dell’assetto mentale entro cui avviene l’incontro tra terapeuta e paziente. In particolare la disponibilità, la flessibilità e l’adattamento del terapeuta sono risultati fondamentali, insieme alla solidità della relazione costruita in precedenza. In nessun caso sono state iniziate nuove terapie direttamente nella forma online ed è risultato evidente come i trattamenti avviati già da tempo con una buona alleanza terapeutica abbiano incontrato meno difficoltà nel momento della conversione in modalità telematica.

Un secondo livello di esperienza e di riflessioni si è sviluppato relativamente ai contenuti delle sedute online, cioè alla possibilità di accedere ai vissuti e al mondo rappresentazionale del bambino, compresa l’esperienza contingente relativa al Covid e le sue risonanze emotive più profonde. La riflessione si estende anche agli strumenti e alle tecniche utilizzabili nella modalità online per consentire e sostenere tali livelli di espressione e rielaborazione.

L’esperienza ha confermato la possibilità di utilizzare gli stessi strumenti e gli stessi materiali normalmente usati nelle sedute in presenza, pur con i necessari adattamenti. I giocattoli personali dei bambini, integrati con quelli della stanza del terapeuta, sono stati utilizzati come materiale simbolico attraverso cui mettere in scena e sviluppare narrazioni inerenti sia l’esperienza soggettiva della situazione contingente (contagio, lockdown, modificazione dello stile di vita, dinamiche familiari), sia i nuclei conflittuali o problematici caratteristici dello psicologismo del bambino.

È stato possibile anche utilizzare il disegno come modalità espressiva e rappresentativa, sia nella forma del disegno libero, chiedendo al bambino di reperire il materiale necessario in casa e di adeguare l’inquadratura della telecamera in modo da poter seguire l’esecuzione, sia nella modalità del disegno interattivo, utilizzando lo schermo del PC come fosse una lavagna grazie ad appositi programmi di grafica facilmente scaricabili e condivisibili.

Le piattaforme utilizzate per gli incontri online, inoltre, hanno permesso facilmente la visione condivisa di filmati, immagini, letture o l’ascolto di brani musicali, strumenti già utilizzati nelle sedute in presenza che forniscono materiale utile ai bambini e ai ragazzi per rappresentare la loro esperienza, attraverso processi di identificazione o di associazione, e per attivare il registro dell’immaginario, stimolando l’invenzione di storie giocate o narrate.

È risultato evidente come la maggiore o minore facilità di gestione della relazione a distanza e di utilizzo degli strumenti a disposizione sia legata alle caratteristiche del bambino, alla sua età, al suo livello di sviluppo e di organizzazione della personalità, all’eventuale quadro psicopatologico presente e al grado di accesso al registro simbolico. I bambini più piccoli, così come quelli con ritardo dello sviluppo o disturbi dello spettro autistico, oppure con problematiche di regolazione emotiva e comportamentale o disturbi da deficit di attenzione e iperattività, hanno trovato maggiori difficoltà nella modalità online, fino alla non praticabilità di questa forma di terapia nei casi più gravi. Il limite rappresentato dalla non presenza corporea, con le sue funzioni di stimolazione, contenimento e regolazione attraverso il contatto, il dialogo tonico-posturale, il gioco senso-motorio, si manifesta in maniera significativa per i soggetti con questi quadri clinici. È stato necessario spesso prevedere la presenza di un genitore in seduta, modificando e riadattando il setting, oppure sospendere momentaneamente il percorso con il bambino, fornendo un sostegno ai genitori tramite incontri a loro dedicati per la gestione del periodo di interruzione.

Per alcuni bambini, invece, la modalità online si è mostrata inaspettatamente efficace, stimolando una maggiore ricchezza espressiva e rielaborativa, come se la distanza fisica permettesse una libertà maggiore, come se la presenza del PC come oggetto mediatore favorisse la capacità di inventare.
A tal proposito, riportiamo uno stralcio di una seduta online con un bambino di otto anni, la cui sintomatologia ossessivo compulsiva si è inasprita nel periodo del lockdown.

Vittorio è seduto in salotto davanti alla postazione del computer. Ascolto le voci della mamma, del padre e della sorella minore, potendo solo intuire la loro vicinanza. Mi aspetto un clima teso e conflittuale, conoscendo le dinamiche relazionali della sua famiglia; oggi invece ascolto la mamma e la sorella di Vittorio giocare a “giro giro tondo”. Talvolta compare la sorella Lia davanti allo schermo per salutarmi e con sorprendente pazienza Vittorio riesce ad allontanarla.

Avverto il mio senso di impotenza legato al setting a distanza: non posso alzarmi e accompagnare la mamma e la sorella alla porta.
Vittorio oggi parla poco, mi chiedo se la presenza dei genitori possa essere per lui un disagio. Il dialogo vocale, oggi poco vivace, procede parallelamente a uno scambio incalzante nella chat di Skype.

Vittorio in seduta condivide con grande riserva i suoi vissuti, raramente ha dato spazio all’immaginario durante le sedute in presenza prima del lockdown. Propone qualche accenno cercando poi di allontanarlo, di non elaborare. Predilige restare nel qui e ora della stanza; la necessità impellente sembra essere, generalmente, occuparsi della nostra relazione: assicurarsi della sua presenza “buona” dentro di me, rimodellare le distanze, tessere una relazione di attaccamento sicuro e rassicurante.

Oggi invece, attraverso il web, inizia a inventare una storia dal titolo “Il bambino astronauta”, che ci vede alternati nella sua costruzione:

“[…] Si annoiava tutto solo sul pianeta Z-Vui, faceva delle lunghe camminate, a volte si fermava sotto un albero a prendere un po’ di ombra e pensare. Un giorno il bambino magico andò sul pianeta XR-9. Appena arrivato sul pianeta, un po’ impaurito, non voleva scendere dalla navicella. Si decise e scese, poi un alieno lo prese e lo portò a casa sua nel castello di Nghthj. Aveva paura ma era anche molto curioso. Chissà, forse sarebbero diventati amici. Lo guardava negli occhi per capirlo. Il bambino astronauta andava su e giù per le scale del castello, poi il suo amico, ormai erano diventati amici, lo portò con sé nella sala da pranzo. Gli diede un piatto di pasta e poi lo mise a letto, era molto accogliente. La paura e il sospetto lasciavano ora spazio a un po’ di gioia, si sentiva che non era più solo, era in compagnia. Il bambino astronauta il giorno dopo si alzò e se ne andò a mangiare la colazione. Mangiava cereali, orzo, latte e biscotti. Era tranquillo, finalmente. Stava bene, finalmente. Ora pensava a quanto sarebbe stato bello fare una passeggiata con il suo nuovo amico e raccontarsi di loro per conoscersi meglio. Poi lo salutò e se ne andò a casa. Ognuno dei due diede un piccolo regalo all’altro, così da potersi ricordare di quell’amicizia appena nata”.

Concludiamo la storia quando il tempo insieme sta per terminare. Vittorio comunica di essere triste e mi dice: “Quando finiremo questi incontri con il computer vorrei farne altri”.

Questa e altre storie narrate da Vittorio in chat mettono in scena alcuni vissuti legati al momento: le angosce di abbandono, la solitudine, la noia, la paura di fronte al nuovo e allo sconosciuto.
Allo stesso tempo raccontano di se stesso e delle sue difficoltà di relazione, del suo senso di precarietà e di diffidenza nei confronti di un mondo adulto di cui ha sperimentato l’instabilità e l’ambivalenza, dei meccanismi di evitamento e di controllo che ha dovuto mettere in atto per gestire l’aggressività e l’imprevedibilità del suo ambiente familiare.

Infine le storie di Vittorio, questa in particolare, parlano della relazione con il terapeuta, delle evoluzioni che sta subendo, dell’esperienza nuova di stabilità e fiducia che apre nuovi orizzonti e possibilità. Il narrare a due voci racconta l’esperienza relazionale in corso e, al contempo, la costruisce.

In questo caso si evidenzia come lo scarto di possibilità espressiva e di strumenti che una seduta online ha rispetto al setting classico possa aprire all’opportunità di un accomodamento, a ripensare e sperimentare nuove modalità di espressione e rappresentazione.
Il setting nelle sedute online è dunque, ancor più che in presenza, una co-costruzione: immagiamo il passaggio da una stanza, lo studio, che permette numerose possibilità, a uno spazio nuovo, limitato, meno conosciuto. Dalla stanza alla roulotte.

Con alcuni bambini, in particolare nelle terapie di appoggio, il setting si è spostato coincidendo quasi completamente con la loro stanza: si alzano, ci mostrano i giocattoli, portano con sé lo smartphone in giardino, si filmano mentre tirano la palla a canestro. Con altri invece, come è stato per Vittorio, il setting è nuovo, sospeso, come se spostassimo la roulotte in cima a una collina. Vediamo le nostre stanze ma siamo lì, con nuove possibilità.

Con alcuni bambini questo setting-ruolotte ha favorito l’accesso all’immaginario: la distanza tra terapeuta e bambino e la solo parziale visibilità dei corpi ricorda, con le dovute evidenti differenze, lo stendersi del paziente sul lettino e immaginare, ricordare, vedere nuovi scenari.
La lontananza fisica e il mezzo hanno aperto, per alcuni bambini, la possibilità di sentire maggiormente la distanza e provare a percorrerla con storie, disegni, dialoghi a più livelli in chat e verbalmente. La presenza online si inserisce come possibilità e via di mezzo tra l’essere fisicamente insieme l’uno accanto all’altro e la lontananza-assenza. È una dimensione che ricorda da vicino l’area transizionale come spazio tra l’abbraccio e l’orsacchiotto.

Sostare la roulotte in quest’area potenziale, in cima alla collina, non avviene con tutti i bambini. Richiede buone capacità simboliche e narrative e una relazione che permetta di sentirsi in contatto anche se a distanza. È un’apertura a fronte di notevoli fatiche ma è anche un’occasione per esplorare nuove dimensioni del setting e del proprio essere terapeuti, avvenga questo in presenza o online.

B) Quando il gioco si fa duro … i bambini iniziano a giocare: esperienze di psicoterapia di gruppo durante il lockdown.

Cosa accade invece quando non si è solo in due dietro agli schermi? Durante il lockdown alcuni terapeuti del nostro Istituto hanno proseguito con i percorsi in piccolo gruppo avviati precedentemente in presenza, sia nella forma della psicoterapia di gruppo sia in quella dello psicodramma adleriano infantile [30].

Nel primo caso, questa nuova forma di gruppo di supporto ha avuto una sua buona efficacia nell’offrire un “contenitore” in cui far confluire i vissuti di paura, di ansia e talvolta di vera e propria angoscia per quello che stava accadendo fuori, dal momento che molte opportunità di relazione erano state per ovvie ragioni sospese: fornire una base sicura e la possibilità di mantenere dei contatti amicali attivi è stato un sollievo non da poco per i bambini che si mostravano ogni volta molto felici di vedere su Zoom i “volti amici” dei loro coetanei.

Osservare i piccoli pazienti nel loro ambiente domestico, a loro certamente più familiare rispetto alle stanze del nostro studio, ha permesso di registrare una serie di dinamiche difficilmente riscontrabili durante gli incontri in presenza: chi era più timido e introverso, a tratti passivo in studio, ha spesso messo in campo una maggiore sicurezza di sé e un’espressività più ricca. Chi invece, in presenza, tendeva a prendere più spazio, ha lasciato in alcuni momenti il posto ai compagni più introversi, aiutato in ciò dai tempi più lenti dietro lo schermo.

Il lavoro di gruppo, in questo caso, prevedeva un primo momento di confronto su ciò che si stava vivendo, dove ognuno aveva la possibilità di raccontare come stava trascorrendo la quarantena, come si trovava con la didattica a distanza, le attività ludiche e ricreative che faceva nonostante il dover rimanere chiusi in casa. Lo schermo ha di certo ampliato il tempo della parola su quello dell’attività: ciò non ci è parso un limite. I bambini non avevano solo necessità di raccontare, ma anche di sentire le parole di un adulto rassicurante e presente.

La seconda parte delle sedute era invece incentrata su un lavoro più pratico e creativo, volto a dare un’altra forma alle emozioni e ai fatti raccontati, per poterne favorire l’elaborazione: o con un disegno condiviso creato grazie ad un’applicazione scaricata da tutti, o con gioco attraverso lo schermo.

Per quanto riguarda invece il lavoro clinico attraverso lo psicodramma, riportiamo, a titolo esemplificativo, l’esperienza con un gruppo di tre bambini di scuola primaria (dalla terza alla quinta), che lavorava insieme già da circa un anno e mezzo in presenza. Un gruppetto quindi abituato alla creazione e alla messa in scena di storie inventate dagli stessi bambini, e che a partire da marzo si è dovuto reinventare. Gli obiettivi principali del lavoro proseguito nella modalità online sono stati, anche in questo caso, il mantenere il legame con i compagni del gruppo e con i terapeuti, l’attivare le risorse affettive e relazionali in un momento di particolare isolamento e il continuare a lavorare sullo sviluppo ed il potenziamento del pensiero simbolico tramite il gioco e l’immaginario.

I bambini erano già stati abituati ad inventare storie e metterle in scena nel lavoro fatto in presenza, ma trasporre la tecnica dello psicodramma infantile online ha richiesto molti aggiustamenti. La presenza fisica, la prossimità corporea, il linguaggio tonico del corpo non erano ovviamente sperimentabili per via telematica e la nuova situazione all’inizio non consentiva ai bambini di accedere con facilità all’immaginario come possibilità trasformativa di emozioni, vissuti, pensieri e desideri. Ogni incontro era suddiviso in quattro parti: un primo momento di condivisione su come stavano vivendo la quotidianità, un momento di costruzione della storia che si sarebbe giocata, la messa in scena rappresentativa della storia, un momento di confronto e condivisione di quanto era accaduto nella storia e delle emozioni correlate.

È stato necessario trovare un espediente tecnico che rendesse reale e tangibile ciò che accadeva in una piattaforma virtuale. Abbiamo quindi chiesto ai bambini di presentarsi nella stanza virtuale con un personaggio (un pupazzo, un peluche, una bambola). Prima di inventare insieme la storia ogni bambino descriveva il suo personaggio dal punto di vista fisico, caratteriale, emotivo; poi, a partire da questi personaggi, veniva costruito un racconto che a volte era una storia di gruppo, altre volte di un singolo bambino con un particolare bisogno da esprimere.

Il lavorare a partire da un oggetto concreto ha consentito ai bambini di mantenere il legame con la realtà, che permette al pensiero simbolico di esprimersi senza diventare fuga solipsistica nel fantasmatico. Con il proseguire degli incontri i bambini portavano nella stanza virtuale anche piccoli oggetti di scena (foulard, bacchette, etc) che ampliavano lo scenario del gruppo.

Spesso le storie avevano come sfondo il rischio di perdere delle persone care, il bisogno di trovare spazi personali non condivisi con i genitori, il piacere di condividere le esperienze con gli amici.
I colloqui di follow up con i genitori ci hanno consentito di comprendere ancora meglio il significato profondo di alcune delle storie giocate dai bambini. Inoltre, ci è stato rimandato che i bambini durante il lockdown, nei momenti liberi dalla DAD e dalle incombenze familiari e quotidiane, hanno “ricominciato a giocare come una volta”: con bambole, pupazzetti vari, stoffe, colla, carta etc. hanno costruito i loro scenari fantastici e messo in scena le loro storie.

VI. Conclusioni

Il contesto attuale nel quale stiamo vivendo come uomini e donne, ma anche come psicoterapeuti, ci sta richiedendo uno sforzo notevole di adattamento e di accettazione del cambiamento. La situazione di pandemia dovuta alla diffusione della malattia da Sars-Cov2 ha creato degli scenari personali, sociali, familiari, economici e lavorativi nuovi e inaspettati. Come terapeuti ad indirizzo individual- psicologico, non possiamo prescindere dall’analisi del contesto in cui vivono i nostri pazienti e come terapeuti dell’età evolutiva abbiamo dovuto confrontarci con quanto esperito e vissuto dai bambini in questo periodo. La paura, l’ansia, il senso di incertezza e, talvolta, le angosce abbandoniche si sono fatte spazio all’interno delle nostre stanze terapeutiche, che in poco tempo si sono trasformate in stanze virtuali.

Il confronto tra gli studi che la comunità scientifica sta producendo in questo periodo e l’esperienza effettuata dal gruppo di psicoterapeuti dell’età evolutiva dell’I.P.I. “A Adler”, oggetto del presente articolo, può portare ad alcune preliminari riflessioni, da cui non possono che sorgere ulteriori domande e piste di lavoro, trattandosi di aspetti innovativi ed ancora in pieno sviluppo.

Per quanto concerne l’impatto della situazione di emergenza sanitaria sulle vite dei bambini e sul loro benessere psico-fisico, confermiamo l’insorgenza o l’intensificarsi di manifestazioni e sintomatologie ansiose nei bambini, in specie nella forma dell’irrequietezza emotiva e comportamentale, dell’irritabilità, dell’ansia da separazione, delle somatizzazioni e dei disturbi del sonno.

L’analisi delle esperienze e dei vissuti riportati in seduta evidenziano che la sofferenza psichica si muove su due canali, tra loro intrecciati: le paure e le ansie relative al contagio, che a loro volta possono sollecitare angosce di morte e abbandoniche nei bambini con problematiche pregresse in tali ambiti, e gli effetti dell’isolamento forzato, con tutto ciò che comporta in termini di socializzazione, sperimentazione di sé al di fuori del contesto familiare, consolidamento del processo di costruzione della personalità e di definizione identitaria, fronteggiamento e superamento delle sfide evolutive attraverso il gioco condiviso, strumento spontaneo ed efficace di elaborazione delle esperienze e dei vissuti.

Il contatto e il lavoro di supporto con le famiglie che richiedono percorsi psicoterapeutici per i figli ha confermato in questi mesi quanto l’equilibrio del sistema familiare, le dinamiche tra i genitori e le reazioni degli stessi sviluppate in relazione al Covid, insieme al supporto emotivo che riescono a fornire ai figli, rappresentino un fattore protettivo fondamentale per il benessere psicologico dei minori e riducano l’impatto negativo su di essi della situazione, quindi l’insorgenza di malessere o sintomi, come anche evidenziato dalle ricerche riportate.

Tale quadro emergente dagli studi in corso e riscontrato nelle nostre osservazioni, ha indotto gli psicoterapeuti dell’età evolutiva a trovare alternative percorribili per poter continuare a seguire i piccoli pazienti, dato che le misure di protezione e contenimento hanno reso pressoché impraticabile la prosecuzione delle terapie in presenza per alcuni mesi. Tale condizione di necessità ha aperto il campo alla sperimentazione della terapia online in età evolutiva, finora assai poco praticata, e ha sollecitato riflessioni sul setting e sulle metodologie utilizzate, così come sull’efficacia e sull’accessibilità ai livelli di lavoro psicologico tipici della psicoterapia ad orientamento psicodinamico.

Dal confronto tra quanto emerge dagli studi in corso – di cui si trovano ancora poche pubblicazioni scientifiche – e la nostra esperienza di questi mesi, possiamo evidenziare che il passaggio alla psicoterapia online necessita inevitabilmente di un adattamento del setting, o meglio avvia un processo di co-costruzione con il bambino di un nuovo spazio di lavoro.

Risultano necessarie alcune condizioni di base come la buona connessione, le competenze sufficienti all’uso agevole delle piattaforme e degli strumenti che offrono, la riservatezza degli ambienti da cui avviene il collegamento, la preparazione delle postazioni e del materiale necessario alle sedute, l’atteggiamento collaborativo del bambino.

Si conferma, come evidenziato dagli studi, la centralità del rapporto con i genitori, ancor più importante nella psicoterapia online per il necessario supporto agli aspetti tecnici soprattutto con i bambini più piccoli, la gestione degli imprevisti, il mantenimento delle condizioni di base per il buon svolgimento delle sedute e il sostegno motivazionale.

È risultato evidente, in linea con le ricerche attuali, come non tutti i bambini siano idonei alla psicoterapia online, o per lo meno si debbano inserire significative modificazioni di setting per rendere praticabile la modalità telematica. Bambini in età prescolare oppure bambini con ritardo dello sviluppo, disturbi dello spettro autistico, disturbi della regolazione e del comportamento e ADHD, possono richiedere la presenza del genitore in seduta, o l’introduzione di attività più strutturate (con inevitabile modifica della natura e delle finalità dell’intervento), fino alla sospensione del trattamento, sostituito momentaneamente da un supporto ai genitori per gestire la situazione emergenziale.

Altro elemento di accordo tra gli studi del settore e l’esperienza degli autori è la centralità dell’atteggiamento mentale del terapeuta e della relazione stabilita con il bambino in precedenza. Il passaggio alla terapia online necessita che il terapeuta attinga al suo Sé creativo e si ponga nella disposizione mentale della sperimentazione e della possibilità che le nuove modalità possano funzionare, pur con i dovuti adattamenti e limitazioni. La relazione stabilita con il bambino risulta poi il “vero” setting, capace di compensare almeno parzialmente le carenze di contatto, contenimento dell’ambiente e interazione corporea della modalità online.

Per quanto riguarda i contenuti delle sedute con i bambini, possiamo concludere che la possibilità di accedere e di lavorare sui vissuti profondi e sui sistemi rappresentazionali che costituiscono il mondo interno del bambino – peculiarità dei percorsi psicoterapeutici ad indirizzo individual-psicologico – non risulta preclusa nella modalità online. Ciò ovviamente non significa che sia sempre possibile e che l’interazione in presenza a livello corporeo sia un elemento trascurabile.

Abbiamo sperimentato che alcuni strumenti, materiali e tecniche utilizzati normalmente nella psicoterapia in presenza possono essere trasferiti, con dovuti accorgimenti e modifiche, nella psicoterapia da remoto, trovandoci in linea con i pochi studi reperiti per ora sull’argomento.

Giocattoli, materiale ludico di vario tipo, strumenti per la rappresentazione grafica possono essere utilizzati dal bambino e dal terapeuta, anche attraverso lo schermo, per il lavoro sull’immaginario. Il gioco simbolico e la narrazione possono essere attivati attraverso queste modalità “tradizionali”, così come attraverso la proposta stimoli digitali: video, immagini, musica, giochi virtuali, ecc.

È evidente che, affinché il bambino possa sostenere un lavoro psicoterapeutico di questo tipo, deve aver raggiunto un buon livello di sviluppo del registro simbolico, una buona dimestichezza con gli strumenti del gioco e della narrazione e un aggancio relazionale e attentivo sufficiente per reggere l’interazione a distanza. La mancanza della stimolazione corporea, del contenimento dato dalla vicinanza e dall’interazione dei corpi, e l’impossibilità di utilizzare il canale senso-motorio condiviso per accedere a forme di rappresentazione pre-simbolica, escludono alcune categorie di disturbo – di fatto quelle segnalate poco sopra – dalla possibilità di un lavoro di psicoterapia online che vada oltre al mantenimento del contatto o a un blando intervento di sostegno, magari con il supporto del genitore in seduta.

Lo stesso discorso possiamo estenderlo alle forme di psicoterapia di gruppo e di psicodramma infantile. Per quanto sperimentato nei mesi di lockdown, la possibilità di mantenere il momento dell’incontro, pur nella forma telematica, ha consentito di non perdere il contatto con i coetanei e di dare continuità a quello spazio di espressione, rappresentazione, condivisione ed elaborazione che il gruppo di terapia rappresenta. Si è evidenziato il bisogno di un contenitore in cui condividere l’esperienza soggettiva di un periodo così particolare e dare forma e significato ai vissuti angosciati e depressivi sollecitati dall’emergenza e spesso dilaganti all’esterno.

Anche in questo caso il gioco simbolico, il disegno e la narrazione sono stati gli strumenti prevalentemente utilizzati, in remoto come in presenza; l’azione contenitiva e trasformativa della mente del gruppo, insieme alla funzione riflessiva, supportiva e incoraggiante del terapeuta hanno consentito, nei percorsi di psicoterapia come in quelli di psicodramma, di accompagnare e sostenere i bambini nelle difficoltà e inquietudini del momento, attivando le loro risorse e la capacità di resilienza, e di continuare a lavorare, attraverso il registro dell’immaginario, sulle problematiche evolutive o le sofferenze emotive di cui ciascuno di loro è portatore.

Aver verificato la possibilità di attivare forme di psicoterapia online individuale e di gruppo con i bambini e ad aver sviluppato riflessioni sulle trasformazioni del setting, degli strumenti e delle tecniche ha consentito di traghettare le fasi acute dell’emergenza sanitaria e ha permesso di aprire alla sperimentazione e all’individuazione di adattamenti metodologici e di linee guida operative per future situazioni di necessità e per la messa a punto di forme alternative di intervento che possano rispondere ad esigenze particolari.

Rimangono tuttavia evidenti i limiti dati da un incontro in cui non sono i corpi ad interagire, ma le immagini di essi. In età evolutiva, dove l’attività psichica e i processi di costruzione del Sè emergono dall’esperienza e dall’interazione corporea e lo sviluppo dello stile di vita prende le mosse da un’unità biopsichica indivisibile, l’assenza della corporeità nell’esperienza relazionale terapeutica non può essere un elemento trascurabile. Tale mancanza rende impraticabile la psicoterapia a distanza in alcuni casi, mentre può parzialmente ridurne l’incisività e l’efficacia in altri. Nonostante ciò, con gli opportuni accorgimenti e i necessari adattamenti, si è sperimentato che la psicoterapia online può raggiungere un buon livello di efficacia con i bambini che hanno accesso al registro simbolico e sono esenti da gravi disturbi della relazione, della regolazione e del comportamento, soprattutto se l’alleanza terapeutica si è già attivata e consolidata attraversa l’interazione in presenza.

Lo scenario che attualmente si sta delineando, mentre scriviamo, è di nuovo incerto. Come terapeuti ad orientamento adleriano poniamo al centro della nostra pratica clinica la capacità di incoraggiare: è necessario intercettare la forza e le spinte vitali presenti in noi e nei nostri pazienti, attivando o riattivando le capacità di tollerare, elaborare e affrontare costruttivamente le frustrazioni e i cambiamenti che la vita ci propone e sostenendo le istanze creative che ci permettono di cercare nuove soluzioni ai problemi, anche percorrendo vie alternative [25]. In tal senso, le prassi consolidate non devono impedire né mortificare la sperimentazione e l’innovazione, soprattutto in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo.