Il mio riflesso negli occhi dell’altro. La malattia allo specchio

Il mio riflesso negli occhi dell’altro. La malattia allo specchio

Il mio riflesso negli occhi dell’altro. La malattia allo specchio BLAST

Di Masci Antonella, Acuna Rolfi Clarisa, Calabrò Laura, Chiavarini Claudia, Grandi Gian Piero, Vegro Simonetta

Il corpo rappresenta uno dei più potenti veicoli comunicativi a disposizione dell’individuo capace di svelare e narrare diversi e molteplici aspetti di sé. Esso è il mezzo più duttile a nostra disposizione per dimostrare o comunicare i nostri stati interni.

Il corpo può essere aperto e recettivo all’altro oppure chiuso, tenendolo invece fuori; può essere adornato e curato o al contrario trascurato e attaccato, attraverso trasformazioni al limite delle possibilità. Corpo come luogo di incontro o come sede di un rifiuto.

Gli individui manipolano il proprio corpo forgiandolo su misura per donare forma e significato alle identità personali e sociali. Il corpo, infatti, non si sviluppa in un vuoto, vive in mezzo ad altri corpi con i quali si relazioni, ai quali dice delle cose, con i quali costruisce dei significati: è un corpo sociale. Non lo si può pensare al di fuori e al di la delle caratteristiche culturali che fanno da cornice a tutte le nostre vite e che esercitano una pressione, una influenza più o meno evidente su di noi e sulle nostre scelte. Le particolarità del corpo comunicano importanti informazioni sull’identità, i valori, e le affiliazioni, ovvero segnalano agli altri i significati che decidiamo di portare, sia come individui che come rappresentanti di un gruppo (Lemma, 2011).

Le modificazioni corporee per cui opta l’individuo inscrivono il corpo collocandolo in specifici ambiti fisici, culturali e perfino politici mediante delle scelte attive finalizzate ad un rispecchiamento che risulti il più fedele possibile all’identità della persona.

Ma cosa accade quando il corpo subisce delle trasformazioni anziché sceglierle, come nel caso di una malattia oncologica? Questo articolo propone una riflessione circa l’imprescindibilità dell’altro come testimone irrinunciabile della nostra esistenza nella costruzione dell’identità e nella definizione del Sé; l’altro come testimone della nostra esistenza coinvolto nei dinamici processi di riconoscimento e rispecchiamento. In questa co-costruzione di conoscenza il corpo rappresenta l’organo più esposto ma anche il più intimo, terreno nel quale si costruisce la relazione con l’altro, primo riferimento della nostra psiche, interfaccia tra un “dentro” e un “fuori”; custode di antiche memorie e, soprattutto, “contenitore” di un’identità, di una condizione, di una storia di vita.

Si è riflettuto quindi sugli inevitabili cambiamenti che la malattia impone nel e sul corpo e di come questi modifichino il processo di riconoscimento e di rispecchiamento dell’individuo nello sguardo, nel pensiero, nelle parole, nelle emozioni dell’altro.

Ri-conoscersi nell’altro

Il corpo e l’esperienza corporea sono costruiti nell’esperienza relazionale, ed entrambi la costituiscono. Il corpo, dunque, e la sua percezione, sono una costruzione che origina nella vita intersoggettiva, interpersonale e sociale. Esso è il territorio della relazionalità, punto di incontro con l’altro attraverso lo sguardo, la pelle, il corpo intero o le sue parti (Lemma, 2011).

Riprendendo il pensiero di Anzieu, possiamo affermare che il bambino acquisisce la percezione di una superficie corporea attraverso il contatto con la pelle della madre quando viene accudito o nutrito. Proprio a partire da questa esperienza corporea il bambino riuscirebbe, attraverso la rappresentazione dell’Io-pelle, a “rappresentarsi se stesso come un Io che contiene i contenuti psichici” (Anzieu, 1985, p.56).

Il corpo può essere considerato dunque una piattaforma della nostra identità e al tempo stesso territorio dell’alterità; un crocevia delle relazioni, punto di incontro e di scontro tra la storia individuale e la storia sociale.

Per tutta la vita il corpo resta esposto allo sguardo dell’altro e in questa circostanza di continua esposizione, costantemente si ritrova a raccontare la sua dipendenza fondativa dall’altro e dal suo desiderio.

Il riconoscimento di noi stessi e dell’altro – e dell’ altro di noi –  può essere considerato come la condizione base dell’identità individuale, la quale ha un suo elemento di specificità che risulta indipendente dall’altro, ma che necessita dell’alterità per essere riconosciuta: ciascun individuo ha un sentimento di sé, ovvero quella particolare familiarità con sé stesso, che caratterizza il modo primordiale con cui si percepisce, ma, al fine di potersi strutturare, ogni conoscenza necessità di un indispensabile momento di oggettivizzazione.

Il termine riconoscimento deriva dal latino cognosco: conoscere, apprendere e rinvia all’aspetto dinamico, costruttivo di una conoscenza, che non esiste a priori, bensì si esprime e si declina attraverso la pragmaticità del suo farsi, sempre nella e attraverso la relazione.

  1. Bateson, parla di ri-conoscimento in questi termini: “La relazione viene per prima, precede, prima della conoscenza e prima della coscienza,”….”siamo parte danzante di una danza di parti interagenti… la conoscenza é un atto creativo espressione della relazione tra parti interagenti per cui, “il nostro pensare è sempre un interpensare.“(Sergio Manghi). La scena in cui ci muoviamo, in quel teatro che è il mondo, quindi é sempre irriducibilmente plurale. “Non possiamo sapere nulla di alcuna cosa in sé, ma possiamo sapere qualcosa delle relazioni tra le cose.” (Bateson e Bateson, Dove gli angeli esitano). L’altro è perciò determinante nella co-costruzione della conoscenza.

La modalità comunicativa di questa conoscenza è la narrazione: è possibile accedere a temi di difficile conoscibilità – come l’identità – attraverso l’ascolto della loro narrazione. Una narrazione che avviene attraverso noi stessi e verso l’altro, espressione della nostra storia autobiografica che riceve una convalida di significato nel momento in cui l’altro porge l’orecchio, gli occhi, il corpo e la mente all’ascolto di essa. Essendo intrinsecamente relazionale, la narrazione rimanda ad un’immagine di noi con l’altro, che è mutevole ed in continua evoluzione generando l’unica conoscenza possibile, quella relativa, mediante l’autopoiesi.

 

Il riconoscimento nella malattia

La comparsa di una malattia che si manifesta significativamente sul corpo, ridefinisce i contorni e ne altera l’aspetto; in queste circostanze è fondamentale cogliere quelle modificazioni e quei cambiamenti che impattano sull’identità dell’individuo vittima di una trasformazione che non ha scelto. Il cambiamento irrompe e interrompe una narrazione della propria storia di vita, richiedendo un repentino rinnovamento del racconto personale a sé stesso e agli altri.

La malattia oncologica, nello specifico, si manifesta sul corpo attraverso le conseguenze dei trattamenti medici. Il soma subisce, infatti, delle trasformazioni che “toccano” la pelle, il viso, i capelli e la postura testimoniando, mediante questi segni espliciti, la presenza della malattia che abita il corpo. L’individuo può scegliere di non raccontare la propria nuova storia, di non definirsi “malato” tentando di nascondere i segni della malattia, ma il corpo, come un oratore sincero ed eloquente, non potrà evitare di “narrarsi” all’altro, poiché esso rimane un luogo esposto: segnabile dall’impronta dell’altro attraverso il suo sguardo (Lemma, 2011).

Sul corpo possiamo ritrovare le tracce del disagio, del malessere, della fatica, della fragilità psichica, fisica ed esistenziale che, nell’incontro con l’altro e attraverso il rispecchiamento del corpo malato negli occhi dell’altro, può suscitare dei profondi e atavici vissuti emotivi quali angoscia di morte, paura, rabbia, invidia, pena o impotenza. In entrambi i soggetti della relazione.

La nuova condizione di malattia, le modificazioni psichiche e corporee richiedono all’individuo una riorganizzazione della propria identità e, dunque, della narrazione della propria storia di vita che dovrà ora connettere passato e presente consentendogli di ri-conoscersi.

Partendo dalla considerazione che il corpo rappresenta uno strumento comunicativo e che l’immagine corporea, intesa come la sua mentalizzazione, è legata a concetti quali l’autostima (Lerner et al., 1973), l’ansia sociale (Cash and Smith, 1982) e l’autoconsapevolezza (Thompson, 1990), si comprende l’importanza che assume l’aspetto esteriore e il suo significato esplicativo. Nel caso di malattie che attaccano significativamente l’aspetto corporeo il riconoscimento di sé cambia, come cambia anche il riconoscimento che l’altro ha di noi, ripercuotendosi sulla nostra percezione e generando nuovi significati che vengono recepiti e restituiti dall’altro, come fossimo davanti ad uno specchio.

Una ricerca condotta nel 2008 (J. M. Hormes, L. A. Lytle, C. R. Gross, R. L. Ahmed, A. B. Troxel & K. H. Smitz) dimostra come le donne sopravvissute al cancro al seno, che hanno subito modificazioni corporee come la mastectomia, siano influenzate quotidianamente dalla percezione dell’immagine del proprio corpo, il quale diventa il contenitore della malattia che trasmette informazioni su di essa all’altro. La relazione con il mondo esterno passa attraverso questo nuovo corpo che diviene spesso una barriera a livello sociale e sessuale, e può esprimersi con l’evitamento di situazioni sociali e di intimità col partner (L. R. Schover, 1991).

Conclusioni

La malattia oncologica comporta delle significative, tangibili, esplicite, osservabili e profonde trasformazioni sia sulla psiche sia sul corpo che mettono l’individuo nella condizione di ri-pensarsi, ri-definirsi nella propria identità integrando in essa i cambiamenti che la malattia gli impone. Si tratta di un processo articolato e spesso doloroso che senza dubbio richiede la presenza dell’altro poiché la condizione stessa dell’identità individuale, come abbiamo visto, è data del riconoscimento. L’identità del singolo, infatti, necessita dell’alterità per essere riconosciuta: ciascun individuo ha un sentimento di sé, ma, al fine di potersi costituire, ogni conoscenza esige un indispensabile momento di oggettivizzazione, ossia del riconoscimento dell’altro.

I segni della malattia si inscrivono sul corpo, lo alterano nel suo aspetto e nella sua percezione.  Essi non si possono nascondere: “Essere calva sarebbe diventato quello che avrebbe urlato al mondo che ero malata di cancro”.

Terreno della relazione, dell’incontro, di negoziazione dei significati, di mediazione tra il “dentro” e il “fuori”, il corpo non può sfuggire allo sguardo dell’altro e, nel caso esso stia lottando contro il cancro, questo diviene praticamente inevitabile. Sul corpo si ritrovano, infatti, le tracce del disagio, del malessere, della fatica, della fragilità psichica, fisica ed esistenziale che, nell’incontro con l’altro vengono restituiti alla persona come fossero immagini riflesse in uno specchio. Attraverso un continuo processo di scambio e di rinegoziazione di conoscenza e, quindi, di significati, il rispecchiamento del corpo malato negli occhi dell’altro altera la percezione che l’individuo ha del proprio corpo e di sé e lo invita a prender parte a  quella danza interattiva di definizione dell’identità che può esplicarsi e costruirsi unicamente  nel campo della relazione.