Lino G. Grandi
Lo stile di vita, le aspettative, la progettualità, la preparazione ad affrontare le complessità della vita, sono tutt’altra cosa rispetto all’originaria, pur se datata, scelta di vita di porsi al servizio dei sofferenti, nell’anima e nel corpo.
Acquisita quella che ritengo, con umiltà, una certa qual professionalità, mi sono assunto l’impegno di formare gli aspiranti psicoterapeuti e, contemporaneamente, ho proseguito il servizio ai sofferenti di disturbi o di disagi psicologici; ho considerato – forse a torto – di poter essere ancora propositivo, creativo, capace di immergermi nei meandri più oscuri della psiche umana; devo al contempo coscientizzare che gli anni trascorrono e che non è lontano il momento fatidico vuoi dell’abbandono dell’amata professione, vuoi della vita.
Qualora le difese consce ed inconsce mi distraessero dal principio di realtà, allievi e pazienti, sollecitati sin dall’inizio dei nostri incontri, a rivelare i sentimenti, i pensieri, i sogni, gli accadimenti, le emozioni, altro …, avvertono l’esigenza di condividere e di comunicare la realtà del trascorrere del tempo.
Spesso, persone cui è stato suggerito il mio nome (o che intendono segnalarlo), incontrandomi in studio mi domandano: “Completa i casi che sta trattando e ne prende ancora di nuovi?”.
Fanno capolino, con una certa frequenza, nei cultori della psicoterapia, fantasie inconsce di onnipotenza; pur nella consapevolezza del trascorrere del tempo e delle probabili, spesso inevitabili, conseguenze, operano -dette fantasie- subdolamente, inducendo modalità esistenziali di “negazione” vuoi del più che probabile degrado fisico e spesso psichico, vuoi della inevitabilità della morte; forse non lo ammetteremmo mai, ma nel profondo vi è una tendenza a credere di essere speciali, di essere esentati da quell’involuzione che diamo per scontata allorché riguarda gli altri.
A livello conscio, l’evidenza delle ferite del trascorrere del tempo, dalla riduzione della vita alle difficoltà digestive, cardiache, di respirazione, di deambulazione ed altro, non trascurando il presentarsi di vere e proprie malattie, anche ad esito infausto, l’evidenza, dicevo, è fuori discussione, è inevitabile.
Nel profondo si agita una domanda “perché io?”; e si rileva quanto sia scarsamente avvertito che si è prossimi a precipitare nel ridicolo. È come se, mi rifaccio alla mitologia, una ninfa ci avesse immerso nella fonte della salute sempreterna; le fantasie che i limiti riguardano esclusivamente gli altri, ci pervadono; solo il richiamo al principio di realtà che, pur con qualche timore, viene introdotto dai pazienti, di necessità ci riporta alla opportuna e prudente consapevolezza.
Col progredire degli anni, le mete, gli interessi, le ambizioni, tanti aspetti della nostra esistenzialità, necessitano di essere riconsiderati: nella formazione di coloro che avvertono interesse per il servizio di psicoterapeuta, la preparazione alla gestione del trascorrere del tempo deve condurre all’esercizio di quella fase “post-narcisistica” nella quale deve essere presente la presa di coscienza della necessità di spostare l’ottica dell’espansione di sé verso la cura e la promozione di quell’umanità che proseguirà il proprio cammino, anche dopo che avremo concluso il nostro ciclo di vita. Lo sguardo deve essere rivolto alle generazioni a venire. L’obiettivo è il riuscire a trasmettere ciò che la vita ci ha insegnato.
È doveroso inoltre considerare il contesto nel quale si sta attualmente operando. Il campo della psicoterapia sta attraversando, da qualche tempo, un periodo di crisi. Offrire pertanto guida ed ispirazione può apparire avulso dalla realtà.
I segnali che provengono dal Servizio Sanitario e da una cultura depauperata pervengono e sono guidati dai principi dell’economia; ne consegue l’esigenza di una radicale modifica della cura psicologica, un adeguamento verso un’ottimizzazione del tempo e dei costi. I requisiti richiesti dalla realtà attuale richiamano in particolare la brevità e sembrano ignorare l’inevitabilità di un precipitare in tal modo nel superficiale e nell’inconsistente.
La preparazione e la professionalità della prossima generazione di efficienti psicoterapeuti, richiede – anche eticamente- di essere perseguita. Quali metodologie possono e debbono essere reperite per proseguire nell’opera di servizio alla salute, che è la nostra missione?
Si deve inoltre considerare che il trattamento più adeguato, cioè la psicoterapia psicodinamica, nel contesto storico attuale, sembra destinato all’estinzione, od al più ad una nicchia di umanità che intende promuovere non tamponi per gli eventuali disturbi e/o disagi, bensì un sano e duraturo benessere.
D’altronde, si deve assumere che i programmi di formazione in psicologia clinica, più che della effettiva validità ed utilità, si avviano a subire passivamente, senza reattività alcuna, le pressioni del mercato: ne consegue un insegnamento di metodologie terapeutiche maggiormente, quando non esclusivamente, orientate sui sintomi, possibilmente di breve durata e pertanto passibili di rimborso dalle organizzazioni che prevedono forme assicurative.
Condivido una perplessità: come non essere preoccupati nei riguardi di una psicoterapia deformata dalle pressioni economiche e conseguentemente impoverita da programmi di formazione radicalmente abbreviati?
Probabilmente in futuro, constatando i danni che inevitabilmente verranno provocati, si proporrà uno stuolo di psicoterapeuti (provenienti da discipline diverse -ad esempio dalla psicologia, alla sociologia, alla filosofia clinica) – che vorrà perseguire una rigorosa formazione post-laurea e prescindendo dall’HMO -Organizzazione per la manutenzione della salute- si incontrerà con pazienti desiderosi di crescita umana e di cambiamento, e quindi disposti ad un adeguato ed utile impegno, senza porre limiti castranti e depauperanti della terapia.
Mi auguro non si tratti solo di una speranza; l’umanità non può desistere dal migliorarsi e dalla ricerca del benessere.
Devo condividere che sono rattristato per come la psicoterapia possa aver subito la devastazione indotta dalle pressioni economiche e di conseguenza impoverita da programmi che al più sono di addestramento, non certo di formazione, programmi dicevo “radicalmente abbreviati”.
Da tempo opero con gli allievi per una psicoterapia non settaria, bensì integrata e suggerisco di conseguenza un pluralismo terapeutico, un sano e proficuo eclettismo, purché intelligentemente armonizzato, che possa avvalersi di aspetti probanti tratti anche da differenti approcci terapeutici. La cornice di riferimento ha da essere comunque interpersonale ed esistenziale.
La mia immersione nella piscina della psicologia clinica, è stata promossa da due sollecitazioni nonché stimolazioni troppo spesso affrontate approssimativamente; l’analisi del profondo (psicoterapia psicodinamica) e il lavoro psicologico di gruppo (attualmente proposto come socioanalisi di gruppo). Richiedono professionalità parallele e non sovrapponibili. È evidente la differenziazione dei due approcci: da un lato il nucleo operativo prevede una relazione uno a uno (dove semiologicamente è previsto il porsi dell’uno di fronte all’altro, secondo il dettato della Individual-psicologia comparata); dall’altro l’ambiente in cui si opera, per lo più composto da un trainer, un co-trainer ed otto o nove partecipanti. La socio-analisi ha una cornice di riferimento interpersonale e spesso si assiste al dilagare della sofferenza dovuta anche all’incapacità di sviluppare e sostenere rapporti personali gratificanti.
Spesso, nell’incontro terapeutico, si osserva che i pazienti sprofondano nella sofferenza, allorché si confrontano con aspetti crudeli della condizione umana; per chiarire: quando coscientizzano gli aspetti fenomenici dell’esistenza.
L’Individual Psicologia comparata propone un approccio terapeutico dinamico che si confronta con le problematiche che connotano l’esistenza stessa.
Per “approccio dinamico” ci si deve rifare al pensiero ellenico: dynasthai significa “avere potenza e forza” ed implica una caratteristica essenziale per un terapeuta: grazie ad un lavoro di “rinforzo dell’io” presentare vigore e vitalità; ne deriva il dover consapevolizzare l’inadeguatezza di terapeuti che propongono modalità relazionali che possano apparire come poco vitali, tendenzialmente passive, scarsamente propositive.
Certo che se le suddette sono, almeno in parte cospicua, nostre caratteristiche, dovremmo lavorarci su con impegno e perseguire per intanto un nostro processo di crescita.
Freud ricorreva al termine “dinamico”, mantenendo ovviamente il presupposto della “forza”, riferendosi però ad un modello di funzionamento della mente, laddove le forze in conflitto nell’area dell’intrapsichico, sono poi le stesse che generano il pensiero, i comportamenti, le emozioni, quel coacervo cioè di aspetti che si interrelazionano e spesso sprofondano ingolfate in disarmonie.
Le suddette forze si pongono in conflitto od in relazione operando in parte a livello cosciente; spesso però operano nell’ambito dell’inconsapevole, in quell’area definita dalla psicoanalisi “inconscio”.
La psicoterapia psicodinamica, nei confronti del conflitto interiore (quando riconosciuto) che devasta il nostro benessere, non si limita all’assunto freudiano di lotta con i desideri istintivi repressi, o con quanto si è introiettato nel processo di crescita dalle figure significative che ci hanno accompagnato, né, come si presupponeva decenni or sono, con frammenti di ricordi traumatici rimossi, ma considera significativi e fondamentali quegli aspetti che impattano con noi nel corso dell’esistenza.
Non mi soffermo sulle difficoltà che ognuno incontra nel quotidiano. Nel corso di supervisioni con colleghi considerati “capaci”, spesso ho indagato se vengono affrontate questioni esistenziali di assoluta pregnanza: ne cito alcune: “la morte, la solitudine, il significato della vita, la libertà, l’immaginario sessuale, la posizione rispetto la religione, il sentimento sociale e di cooperazione, la gratitudine ecc.”
L’obiettivo di una guida non è quello di costruire percorsi psicodinamici alternativi, bensì quello di far dialogare il terapeuta con le forze inconsce che influenzano -ben lo sappiamo- il comportamento cosciente.
Ma qual è la natura delle forze interne in conflitto? Dobbiamo consapevolizzare che il disagio intrapsichico non origina solo, come affermava la vetero-psicoanalisi, dalla lotta con i desideri istintivi repressi, o per l’influenza dei cosiddetti “significativi” (le figure che abbiamo introiettato nell’infanzia e nella prima adolescenza) oppure – secondo quanto sottolineato dai primi maestri di psicoanalisi – da frammenti di ricordi traumatici rimossi; è doveroso, per l’odierno psicologo clinico, il confronto con i “dati di fatto” dell’esistenza.
In un procedere psicoterapeutico, si debbono considerare sia il contenuto, sia le modalità che connotano il “processo”. Il contenuto non necessita di spiegazioni: la lingua italiana al riguardo è chiara. Più complesso e meritevole di riflessioni è il processo. Fra l’altro implica -e fa tremar le vene ai polsi- la relazione personale tra il paziente e il terapeuta.
Si tratta di un’interazione che comprende il verbale ed il “non verbale, che richiede la necessità di una decodifica finalizzata alla comprensione della natura del rapporto tra le parti coinvolte nell’interazione.
Va detto che una psicoterapia psicodinamica, fermo restando l’approfondita conoscenza della teoria di riferimento e delle modalità tecniche, non dovrebbe essere condotta “a prescindere”, bensì guidata dalla costruttiva immersione e decodifica della relazione. Nell’ambito della relazione, acquisiscono pregnanza i problemi esistenziali che a loro volta influenzano significativamente la natura della relazione stessa, sia in generale che nella specifica seduta, tra il terapeuta ed il paziente.
La formazione di uno psicoterapeuta postula da parte del Maestro la propensione a fornire suggerimenti, tratti dagli studi, dalle ricerche, nonché dalla sua esperienza.
Non sotto forma di lezione, pur essendo necessaria ed importante, ma, acquisite le basi, la frequentazione di compagni di viaggio che vogliano condividere le loro esperienze, mettendosi in discussione, confrontandosi dinamicamente con i colleghi, praticamente “frequentando una “bottega”, nell’accezione rinascimentale del termine. Si potrà così riconsegnare alla psicoterapia la dignità che le appartiene ed ai desiderosi di migliorare la qualità della loro vita, un servizio idoneo e promozionale.
L’auspicio è un futuro migliore per noi tutti.